Ormai da giorni tra i principali fatti di cronaca, l’uccisione dell’Orsa Amarena in Abruzzo, nel comune di San Benedetto dei Marsi, rappresenta un motivo di discussione sotto molti aspetti. Oltre agli interrogativi sulla convivenza tra orsi e uomo, le speculazioni si concentrano sulla sorte giudiziaria dell’uomo che ha sparato.

Uccisione dell’orsa Amarena: la vicenda in breve

Il plantigrado, noto per le sue innocue scorribande nei vari paese dell’entroterra abruzzese (pochi giorni prima alcuni video la mostravano mentre, con i cuccioli, attraversava il paese tra lo stupore degli abitanti), si era introdotto nel pollaio di un macellaio di San Benedetto dei Marsi.

Questi, insospettito dai rumori, aveva imbracciato il fucile e, trovatosi di fronte l’animale che aveva divorato le sue galline, aveva lasciato partire i colpi mortali.

Immediata la reazione, indignata e sconcertata, dell’opinione pubblica, che aveva chiesto la testa e la gogna mediatica dell’uomo, responsabile dell’uccisione dell’orsa Amarena.

Il precedente

Per capire in che direzione potrebbe muoversi la giustizia, è possibile prendere ad esempio un episodio analogo accaduto nel 2014, sempre in Abruzzo, nel comune di Pettorano sul Gizio.

Stessa dinamica, stesso “movente”, stessi protagonisti, un uomo e un orso.

Anche in quel caso, l’animale era entrato in un pollaio il cui proprietario, spaventato, aveva aperto il fuoco ferendo mortalmente l’orso.

L’uomo si era difeso adducendo la partenza del colpo ad una caduta accidentale, causata proprio dalla vista dell’orso, che gli aveva anche provocato una ferita in testa.

Autodenunciatosi per l’accaduto, aveva ottenuto l’assoluzione in primo grado, per poi essere condannato in appello, con conferma della Cassazione, come responsabile ai fini civili dei reati commessi.

La somma da risarcire, pari a 25.000 euro a favore di ognuna delle associazioni che si erano costituite parte civile (Lav; Organizzazione regionale Pro Natura Abruzzo, Salviamo l’Orso e Pnalm), viene mensilmente dedotta attraverso il pignoramento di un quinto della pensione.

Cosa dice le Legge?

L’uccisione dell’orsa Amarena riporta a galla la controversa e mai risolta diatriba che vede gli animalisti opporsi a quelle che loro considerano pene troppo poco severe.

L’articolo 544 bis del codice penale cita testualmente: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”; il quadro viene completato dall’art. 544 ter: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”.

Si potrebbe tirare in ballo anche l’articolo 30 delle Legge 157, che regolamenta la caccia: Arresto da tre mesi ad un anno e l’ammenda da lire 2.000.000 a lire 12.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo”.

Tuttavia, trattandosi di un reato contravvenzionale, è possibile trasformare la sanzione da penale in amministrativa, permettendo all’imputato di estinguere il reato pagando metà della massima pena. Massima pena che però raramente si applica in questi casi, essendo gli imputati incensurati.

Quindi i fatti di San Benedetto dei Marsi avranno presumibilmente la stessa sorte di quelli di Pettorano, ovvero il pagamento di una sanzione amministrativa sottoforma di risarcimento, con probabile pignoramento dello stipendio del colpevole.