Il Trono di Spade è finito, viva Il Trono di Spade. No, non stanno andando proprio così le cose. Sui social e in special modo su Youtube nei video recensione, il pubblico sta criticando unanimemente quella che è stata la stagione conclusiva forse più controversa degli ultimi anni di tv. Ma in sintesi, questo finale è stato bello o brutto? La verità sta nel mezzo, e merita una giusta analisi.

Recensione Il Trono di Spade 8

Game of Thorones non è una normale serie tv, è un fenomeno mediatico che ha coinvolto milioni di milioni di fans in tutto il mondo.

Per questo motivo è anche ovvio che non tutti sarebbero stati d’accordo sul suo esito conclusivo. Diciamo, per la semplice legge dei grandi numeri, quando più persone fruiscono di un servizio, più possibilità ci sono di ascoltare poi pareri diversi. E’ vero, però, che in questo caso, i pareri negativi abbondano, soprattutto tra gli youtbers, ma anche in questo caso potrebbe spiegarsi con una certa facilità il motivo di tanto astio. In questo caso infatti, il video rabbioso e fortemente hater richiama spesso più click.

Detto questo, è innegabile comunque che quest’anno qualcosa non ha funzionato. Forse l’intera opera, ora che è finalmente conclusa, andrebbe totalmente rivista col senno di poi, per essere vivisezionata in ogni minimo particolare. Siamo sicuri però che il cast di sceneggiatori, benché a un certo punto si sia trovato forse spaesato, poiché la guida letteraria di Martin era terminata, abbia comunque lavorato con professionalità e si sia rivisto con attenzione ogni collegamento da inserire nell’ultima stagione, così da non creare troppi buchi non-sense, come molti affermano in giro (su tutti la scelta di Barn come Re, quando secondo molti lui aveva sempre rinunciato una qualsiasi carica sociale o politica).

A nostro parere, quel che stavolta non ha funzionato è qualcosa di più formale e tecnico.

Stiamo parlando dell’approccio tra il cinema e la serie tv che il prodotto finale ha mostrato in queste sue ultime battute. L’ampio respiro della serialità televisiva è stato improvvisamente rinnegato, in special modo proprio in quest’ultima stagione, con skip temporali che hanno spiazzato lo spettatore. Questi sistemi, perfetti per il cinema, non possono essere accettati di buon grado da un pubblico televisivo, più avvezzo a voler conoscere l’evoluzione del personaggio e di ogni singolo evento, a discapito anche di un ritmo che deve cedere il passo a un montaggio più compassato e riflessivo.

In cosa si distingue la grammatica cinematografica da quella seriale? Se il segreto del cinema è raccontare una storia per sottrazione, andando a eliminare di volta in volta tutto il superfluo per arrivare al nocciolo della questione, alla sua sostanza ultima, viceversa l’approccio drammaturgico di una serie tv è quello di addizionare, proprio come si fa in letteratura, così da offrire un prodotto narrativamente mastodontico, allungando il cosiddetto brodo il più possibile, sia per tenere il pubblico incollato alla tv, sia per rendere più credibile quel che viene mostrato.

Facciamo un esempio pratico: prendiamo Breaking Bad, la serie a detta di molti perfetta. Immaginiamo ora questo racconto non in tv, ma al cinema, condensato in due ore, massimo due ore e mezza di visione. Sarebbe credibile un professore malato di cancro che dopo mezzora inizia a spacciare droga e dopo un’altra mezzora diventa un potente boss capace di sfidare il cartello? Una trama inaccettabile del genere, diluita in 75-80 ore di visione, dove ogni dettaglio e processo mentale del protagonista vengono sviscerati nella narrazione, diventa improvvisamente credibile.

Qual è stato dunque il problema di Game of Thrones 8? Il suo oscillare a tratti senza senso tra la grammatica cinematografica e quella della serialità televisiva.

Il Trono di Spade è diventato nel tempo un prodotto capace di mostrare eventi estremamente cinematografici, grazie al grande budget a disposizione della produzione, ma sempre con quel respiro seriale che concede minutaggio importante sia alla scena spettacolare di guerra che al dialogo esplicativo. Senza girarci troppo intorno: il personaggio di Daenerys rimane la grande spina nel fianco di questa stagione. Da eroina salvatrice degli oppressi (andatevi a rivedere le scene di quando libera gli immacolati e i popoli schiavizzati), a mad queen in mezzora, orologio alla mano.

La sua trasformazione infatti si attua nel banchetto di festeggiamento all’episodio 4, quando si accorge di essere fuori luogo al nord e prende atto del suo essere sovrano solo, e si concretizza con la morte di Rhaegal e Missandei. Stop, questi sarebbero gli elementi traumatici dell’ultima ora che trasformano la Targaryen da santa, a tratti severa, ma pur sempre giusta e animata da amore verso gli oppressi, a spietata assassina totalmente irrazionale, capace poi di radere al suolo con il solo Drogon, un’intera città, facendo scempio perfino di tutta la flotta navale di Euron che con tanta facilità aveva invece il giorno prima ucciso l’altro drago. La follia della madre dei draghi rimane quindi l’elemento intorno al quale tutto ruota, e doveva essere razionalizzato nei minimi dettagli, non bastano le parole di Tyron a Jon durante la prigionia, e nemmeno possiamo giustificarlo con l’accostamento tolkeniano troppo facile e buttato anche in questo caso senza premesse, tra il trono di spade (iron throne) assaporato per un attimo da Dany e l’anello di Sauron.

Insomma, come dicevamo, i buchi di sceneggiatura e i salti logici ci sono, ma sono a nostro avviso causati da un vizio di forma, aver dovuto riassumere a un certo punto troppo per riuscire a chiudere nei tempi previsti. E, ulteriore aggravante, aver sottratto molto, pur mantenendo i tempi compassati della serialità televisiva.

A parte infatti le belle scene di lotta, dirette dal sempre bravo Miguel Sapochnik, i momenti di riflessione sono stati giustamente molto lenti e pregni di tensione, ma stridono con quel ritmo forsennato che la fretta di chiudere metteva addosso alla produzione, e che ha costretto quindi a skippare altro.

Per concludere, la delusione per un finale poco appagante (la morte di Daenerys è oggettivamente brutta, anticlimatica e girata con pochissimo pathos, l’impressione è che in quella scena sia venuta meno anche la colonna sonora dello strepitoso Ramin Djawadi, addirittura fuori tempo con le immagini, o comunque poco incisiva) palesa il fatto che questa serie è stata per larghi tratti in capolavoro assoluto, ricca di momenti memorabili che nessuno mai potrà cancellare, nemmeno il finale deludente, e che ha accompagnato per quasi 10 anni un’incredibile schiera di fans in tutto il mondo, riscoprendo quel magico mondo antico che solo il fantasy sa riprodurre.