Alla fine anche l’intelligenza artificiale si sta rivelando essere tutt’altro che perfetta. OpenAI corre ai ripari, ChatpGPT sta iniziando a sbagliare un po’ troppo e urge una nuova fase di apprendimento per migliorane le prestazioni. Stavolta però l’azienda ha deciso di fare le cose in regola… e pagare.

L’intelligenza artificiale che non ti aspetti

Se c’è un grande gap che rende l’uomo eternamente superiore alle macchine, è la possibilità di sbagliare, ossia di commettere quell’errore che può essere meglio di ogni più rosea previsione.

In un mondo governato dall’intelligenza artificiale, il meraviglioso paradigma utilizzato da Woody Allen in Match Point non potrebbe avere luogo. Il calcolo errato che si rivela essere fortunoso e quindi salvifico per il protagonista, non sarebbe mai avvenuto se a lanciare quell’anello fosse stata una macchina. Eppure, a quanto pare anche le macchine e i software sbagliano. Sbagliano perché le indicazioni offerte dall’uomo non sono state sufficienti. ChatGPT sta iniziando a fare qualche errore di troppo.

Dopo l’euforia dei primi mesi, lentamente un po’ tutti stanno iniziando a capire che in fondo questa tecnologia imperfetta era già presente nel mondo da tempo, solo che ora ha raggiunto livelli quantitativi (attenzione, quantitativi, non qualitativi, ed è questo il concetto che molti ancora non riescono a comprendere) che la fanno sembrare qualcosa di diverso dall’intelligenza artificiale utilizzata 10 anni fa. A conti fatti, però, ora tutti si stanno accorgendo che senza la lezione impartitale dall’uomo, anche l’AI è poca, e soprattutto si rivela essere fallace se l’insegnante è in errore. Di riflesso, però, il fenomeno ha portato in luce anche un altro aspetto da molti sottovalutato.

ChatGPT, pagare per imparare

Le continue violazioni dei diritti d’autore operate da ChatGPT a quanto pare non hanno fruttato. Se è vero che i guadagni di OpenAI sono stati mostruosi, è altrettanto vero che per imparare il suo software non ha speso un centesimo.

Nel senso che raccoglie le sue nozioni dal web in barba ai cosiddetti diritti d’autore. Il problema del copyright è stato già più volte esposto, ma a quanto pare ora è la stessa OpenAI a decidere di correre ai ripari. Imparare da scrocconi non ha fruttato. Se il bot continua a fare errori è forse perché le lezioni non sono efficaci, per quanto completamente gratuite. Ecco quindi che ha deciso di affidarsi ai dati dell’editore tedesco Axel Springer, proprietario di Business Insider, Politico, Bild, Welt e altri, per affinare il proprio modello.

Quest’anno sono partite tante cause proprio per la violazione dei diritti d’autore contro l’AI, e l’Europa è stata costretta a regolamentare la cosa con nuove norme. Dalle analisi risulta che i contenuti proposti sono ormai imperfetti e negli ultimi tre mesi ChatGPT sta registrando un calo costante di abbonati. La collaborazione con l’editore Springer potrebbe fornire a entrambi un lavoro fruttuoso. OpenAI potrà usufruire delle fonti originali dell’editore e offrire il giusto compenso, mentre quest’ultimo sfrutterà la tecnologia del software per migliorare la diffusione dei suoi contenuti. Tutti contenti? Per ora sì, almeno fino alla prossima crisi.

I punti chiave…

  • OpenAI in difficoltà, ora corre ai ripari e si affida all’editore Springer;
  • negli ultimi mesi registra un calo costante di abbonati, e ChatGPT sta proponendo contenuti sempre più scadenti;
  • l’intelligenza artificiale sta affrontando forse la prima crisi dell’anno.