Sono passati esattamente 40 anni dal lancio di uno degli spot più di successo di sempre nella storia italiana. Era il 1985 quando l’Amaro Ramazzotti battezzava l’era della “Milano da bere”, mostrando una città che ogni mattina rinasceva con un cuore che pulsava per il lavoro. L’espressione sarebbe diventata così celebre da renderla l’emblema di un’epoca. Sono gli anni Ottanta. Gli italiani hanno voglia di mettersi alle spalle i disordini e la scia di sangue del terrorismo. Si rifugiano nella dimensione privata, edonistica, pensano a consumare, vestire bene, andare in vacanza e fare carriera. E’ il periodo d’oro del craxismo. C’è una classe dirigente che scalpita per farsi largo nella società.
Milano da bere negli anni del craxismo
La godereccia Milano da bere sarebbe stata amministrata dal sindaco craxiano Paolo Pillitteri, che del segretario PSI era cognato. Il capoluogo lombardo interpretò un’era, così come lo aveva fatto anche nel secondo dopoguerra quando la coltre di fumo che sovrastava la città era diventato il simbolo della rinascita industriale italiana. Se vogliamo, aveva segnato già la fine del fascismo nel mondo più tragico possibile, cioè con i corpi devastati in piazzale Loreto di Benito Mussolini e Claretta Petacci.
Il buio di tangentopoli
La Milano da bere finiva agli inizi degli anni Novanta e sarebbe stata rimpiazzata da Mani Pulite. La tangentopoli che sconvolse l’Italia imprenditoriale e politica ebbe sempre qui il suo set. La Procura di Milano per anni fu immagine di apertura ai tg nazionali. Gli italiani all’ora di cena non aspettavano altro di sapere chi fosse stato arrestato o indagato quel giorno.
L’aria spensierata aveva lasciato il posto a un’atmosfera tetra e, a tratti, sadica. Dell’Italia rampante del craxismo non era rimasto che l’odio (ipocrita) contro chiunque fosse sospettato di avere approfittato dei suoi rapporti con lo stato per fare affari o carriera.
L’epopea berlusconiana
Il nuovo corso, tuttavia, sarebbe nato sempre ai piedi della Madunnina. Fu Silvio Berlusconi a tentare di riportare in tutta Italia i fasti degli anni della Milano da bere. Mai persona dai tempi del Duce risultò più divisiva. Alcuni lo amarono alla follia, altri lo odiarono a morte. E fu così che il capoluogo lombardo divenne l’epicentro della coalizione berlusconiana, liberale e leghista. Non a caso la fine del berlusconismo sarebbe arrivata nella primavera del 2011, poco prima della caduta del governo. Forza Italia perse le elezioni amministrative e il nuovo sindaco divenne il “comunista” Giuliano Pisapia.
Da Milano da bere a Sala, città simbolo d’Italia
Non ci fu più il ritorno alla Milano da bere, né la rigenerazione urbana di Pisapia-Sala coincise con una ripresa dell’intera nazione. Ad ogni modo, anche gli ultimi 15 anni hanno segnato a Palazzo Marino un’era: quella del centro-sinistra al potere dopo il ventennio berlusconiano. Ieri, il sindaco in Aula ha confermato che andrà avanti.
Non si dimetterà, anzi rivendica l’operato di questi anni. Ma difficile immaginare che non si tratti nei fatti di un epilogo. E anche questa volta nella “capitale morale” va in scena un evento più ampio degli stretti confini cittadini: la crisi d’identità di un centro-sinistra lacerato tra radicalismo chic che flirta con i “demoni” del capitalismo e ritorno alle origini più popolari.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

