L’equo compenso è legge: tutti i professionisti, iscritti alla cassa di riferimento o no, devono assicurarsi una remunerazione adeguata “alla qualità e alla quantità del lavoro svolto”. Quanto chiedere per un lavoro a partita IVA non può essere lasciato esclusivamente alla discrezione dei titolari della stessa perché questo genera il rischio di una corsa al ribasso delle tariffe, soprattutto tra i giovani professionisti desiderosi di emergere. Un atteggiamento umanamente comprensibile ma che svilisce la dignità di certe professioni, alle quali si arriva dopo anni di studi e sacrifici.

Non solo: non regolare le retribuzioni per il lavoro a partita IVA rappresenta anche terreno fertile per sfruttamento dei neo laureati e giovani professionisti.

In questi giorni alcuni lettori ci hanno scritto confusi sull’argomento: quanto chiedere per un lavoro a partita IVA? La verità è che ad oggi non è ancora noto.

La legge

La proposta di Fratelli d’Italia, diventata legge, vale in questa prima fase per i rapporti con la Pubblica Amministrazione e i grandi committenti. Per individuare le imprese considerate “grandi” sono stati fissati due parametri:

  • dimensione (organico minimo di 50 dipendenti);
  • fatturato (non inferiore ai 10 milioni di euro).
  • Secondo le prime stime parliamo di circa 27 uffici pubblici e 51 mila soggetti privati.

Dunque dopo qualche ritocco è arrivato l’ok definitivo della Camera. Ci vorrà però qualche tempo fino a che l’equo compenso potrà essere operativo a tutti gli effetti e per tutte le categorie. Al momento solo gli avvocati sarebbero pronti, vediamo meglio perché e che cosa manca.

L’equo compenso: quanto chiedere per un lavoro a partita IVA

La normativa sull’equo compenso si applica a tutti i professionisti, non solamente quelli iscritti a un Ordine ma anche quelli che esercitano professioni non regolamentate (tra questi ultimi, per fare qualche esempio, gli amministratori di condominio e i revisori legali).

Solo che i primi hanno già come riferimento per le tariffe i parametri indicati nei decreti ministeriali per ogni singola categoria; gli altri invece dovranno aspettare la messa a punto di valori di riferimento. Sarà il nuovo ministero delle Imprese e del made in Italy ad occuparsene per la prima volta. Questi valori saranno poi revisionati con cadenza biennale.

Ad onor del vero ad oggi tra i professionisti solo gli avvocati dispongono ad oggi di parametri recentemente aggiornati (nello specifico sono in vigore da ottobre scorso). Tutte le altre categorie sono ufficialmente ferme a valori molto datati (alcuni risalenti anche di dieci anni fa) che tra l’altro non tengono conto di nuove competenze.

Le sanzioni

Chi chiede troppo poco per un lavoro a partita IVA, non rispettando la nuova legge sull’equo compenso, va incontro alla nullità del contratto. La retribuzione troppo bassa può essere rilevata anche d’ufficio. Sono nulli anche i contratti che:

  • prevedono l’anticipazione delle spese a carico del professionista
  • vietano di prevedere acconti

Il professionista che chiede troppo poco giocando al ribasso è soggetto anche a sanzioni deontologiche da parte dell’Ordine di appartenenza.