Il licenziamento di un dipendente non è considerato legittimo quando manca la prova della condotta addebitata.

Fa giurisprudenza, in merito, l’ordinanza 30948 del 20 ottobre 2022 della Cassazione (Sezione Lavoro) che ha considerato inammissibile il ricorso di una società che aveva proceduto al licenziamento per ammanco di cassa di una dipendente, la quale poi aveva presentato reclamo, accolto, alla Corte d’Appello.

I fatti risalgono al 2022, quando la dipendente di una società di somministrazione e di vendita di prodotti alimentari, aveva ricevuto dal datore di lavoro comunicazione di licenziamento disciplinare.

Il motivo risiedeva nella reiterazione, della dipendente, nel simulare pagamento e registrazione di cassa di un pasto (il pranzo per la precisione) sempre nei confronti di uno stesso cliente, a cui poi restituiva la somma pagata.

Il reclamo in Corte d’Appello

Appena notificato il provvedimento, la donna ha proceduto con il reclamo in Corte D’Appello, accolto per insussistenza dei fatti. Non era stato trovato alcun tipo di riscontro nelle accuse mosse dal datore di lavoro.

Inoltre la dipendente, oltre a negare eventuali addebiti, si era anche resa disponibile a colmare gli ammanchi di cassa contestati.

Il ricorso alla Corte Suprema

Da qui il ricorso in Cassazione da parte dell’azienda, con la contestazione delle motivazioni delle Corte d’Appello, tra cui la violazione degli articoli 1324, 1362, 1363 del codice civile.

Secondo la società, il giudice avrebbe male interpretato la contestazione di addebito nei confronti della donna licenziata, senza considerare il vero motivo che aveva spinto il datore di lavoro a prendere il provvedimento disciplinare.

Una corretta interpretazione della contestazione in parole, avrebbe fatto emergere, sempre secondo la società, un reiterato comportamento, volto ad esonerare sempre lo stesso cliente dal pagamento del pranzo, a prescindere dal suo costo.

La Cassazione ha risposto con la suddetta ordinanza, giudicando inammissibile il ricorso e, di fatto, disponendo l’immediato reintegrato della dipendente.

Se, come riteneva il datore, ci fosse stato più volte il fittizio pagamento con successiva restituzione in denaro, l’accusa avrebbe dovuto dimostrare l’accaduto con prove della condotta addebitata.

Venendo queste a mancare, il fatto contestato diventa inammissibile. Da qui il licenziamento illegittimo e il reintegro immediato.

In realtà, il ricorso non menzionava l’inesistenza di tali prove, quanto invece il riesame dei fatti già valutati dal giudice della Corte d’Appello. Un riesame di fatto inammissibile.