I social network sono ormai una costante della nostra vita, invadono il nostro privato senza che ce ne accorgiamo, anzi molto spesso vengono utilizzati proprio per metterlo in mostra.

Se da un lato è possibile aprire la propria finestra sul mondo, osservare ed essere osservati, dall’altro ci esponiamo inevitabilmente alla curiosità altrui, anche di chi magari preferiamo non visiti il nostro profilo.

È il classico caso della privacy a lavoro: quanto è possibile mantenere separati il lavoro e la vita privata? Oggi praticamente impossibile, a meno che non si rinunci alla socialità virtuale.

In realtà si possono essere impostare i criteri di privacy per permettere di vedere il profilo solo ad una stretta cerchia di amici e famigliari “sicuri”. Tuttavia, se la richiesta di amicizia arriva dal capo o altri colleghi, diventa difficile ignorarla o addirittura rifiutarla.

Cosa fare se il mio capo mi spia dal profilo social?

Non è un segreto che le aziende utilizzano i canali social per reperire informazioni sulla personalità dei dipendenti o di quelli potenziali, pre e post colloquio.

Se tieni alla tua privacy sul lavoro, devi sapere che la Cassazione, nel 2015, aveva considerato condotta legittima quella di una società che aveva creato un profilo Facebook falso per contattare un proprio dipendente e dimostrare che era solito abbandonare la postazione di lavoro per intrattenersi in chat. Con questo stratagemma l’azienda ha potuto licenziare il proprio dipendente, cui non è poi valso nulla il ricorso.

Sempre la Cassazione (sentenza n. 27939 del 13 ottobre 2021) ha legittimato il licenziamento di un dipendente che aveva postato su Facebook offesi nei confronti dei vertici aziendali.

Quindi sì, possono spiare, sono legalmente tutelati e, anzi, possono anche rivalersi in caso di condotta non idonea del dipendente.

Quando la privacy sul lavoro non è a rischio

Nonostante queste possibilità al limite dello stalking, le aziende non possono intervenire in alcun caso, almeno formalmente e per vie legali, se dal profilo social del dipendente emerge una personalità non in linea ai criteri aziendali.

Il datore di lavoro non può discriminare l’orientamento ideologico, politico, sessuale e religioso di un dipendente, fintanto che questo non rechi offesa al datore stesso o ad altre categorie (casi di razzismo, odio religioso o di genere, ecc.).

Può invece utilizzare a suo favore foto pubbliche del dipendente qualora dimostrino inequivocabilmente la sua assenza ingiustificata dal lavoro; un esempio classico sono le immagini che ritraggono la persona in vacanza mentre è in malattia.

Se invece le comunicazioni, anche offensive e denigratorie, sono di natura privata (ad esempio in un messaggio tra dipendenti con riferimento ad un superiore non coinvolto nella messaggistica), non possono essere utilizzate per legittimare un licenziamento, come ha stabilito la Corte di Appello di Firenze nel 2021.

Privacy a lavoro: un vademecum per difenderla

Dopo questa panoramica sulle diverse dinamiche che possono portare l’azienda ad utilizzare contenuti social per rivalersi sui dipendenti, ecco alcune regole di buon senso per difendere senza rischi la propria privacy a lavoro:

  • comunica con i colleghi, soprattutto se in riferimento a terzi, tramite messaggistica privata (chat, e-mail) e non attraverso un profilo social;
  • rendi privato il tuo profilo, visualizzabile solo da chi ha la tua amicizia;
  • non postare commenti offensivi sul datore di lavoro in post pubblici
  • concedi l’amicizia solo a profili di cui conosci la reale persona, onde evitare pericolosi cavalli di Troia!