I conti pubblici italiani non sono più al centro delle preoccupazioni internazionali, anzi mercati e agenzie di rating da tempo sono tornati a premiare i nostri bond. Per la prima volta dopo tanti anni il governo ha potuto varare la legge di Bilancio in un clima di relativa tranquillità. Composta da misure per 18,7 miliardi di euro, concentra le risorse grosso modo su due capitoli: taglio dell’IRPEF e salari. Urgono soluzioni per fare uscire l’economia dal lunghissimo tunnel della bassa crescita. Oltre al risanamento fiscale, c’è bisogno che il Pil smetta di aumentare al ritmo dello zero virgola e finalmente trovi slancio.
Metà del Pil intermediata dallo stato
I media ignorano volutamente o per ignoranza un dato: la bassa crescita economica è tipica degli stati con alta spesa pubblica. L’Italia ha registrato una media del 49,6% nell’ultimo trentennio. Su ogni 100 euro di ricchezza prodotta da imprese e lavoratori, la metà è finita nelle mani del governo di turno. E questo non è un bene per l’economia. Maggiore la ricchezza intermediata dallo stato, maggiore l’inefficienza complessiva.
La metafora del “secchio bucato” di Arthur Okun rende bene l’idea. I contribuenti pagano le imposte per ricevere servizi e anche per fini di redistribuzione della ricchezza a favore di chi ha più bisogno. Peccato che a destinazione arriva solo parte dei versamenti. Immaginate di stare in riva al mare e di raccogliere l’acqua con un secchio per poi portarla in spiaggia. Se il secchio è bucato, gran parte di essa andrà dispersa lungo il tragitto.
Tasse e burocrazia senza limiti
Perché questa metafora spiega le ragioni della bassa crescita italiana? Lo stato chiede ai cittadini di pagare le imposte.
Tante, troppe. Senonché su 100 euro versati, ai servizi affluirà molto meno. Il resto si disperde nei meandri della burocrazia. Per dirla alla Thomas Hobbes, lo stato è un Leviatano che si auto-alimenta. Alla fine, il sistema produce una ricchezza pari a 100, ma parte di essa viene dissipata. Siamo arrivati a credere che tagliare la spesa pubblica sia impossibile senza intaccare lo stato sociale, cioè servizi essenziali come scuola, sanità e pensioni.
A farcelo credere è lo stesso stato attraverso i suoi tentacoli mediatici. Evadi le tasse? Stai “rubando” servizi ai concittadini. Attenzione: l’evasione fiscale è un reato che non intendiamo giustificare in alcun modo. Semplicemente, le cose non stanno come vengono propinate. In effetti, lo scorso anno la spesa pubblica italiana si attestava al 50,60% del Pil. Sapete quale percentuale è stata assorbita dai suddetti servizi? Intorno al 26%. In pratica, quasi la metà di quanto spendiamo non è legato al welfare. Certo, ci sono altre voci da considerare come le infrastrutture (strade, ferrovie, autostrade, porti, ecc.) e la spesa militare. In ogni caso, superiamo a stento il 30% del Pil. Il resto è mancia, diremmo.
Bassa crescita e alta spesa pubblica correlate
Il governo Meloni ha contenuto la spesa pubblica, tagliandola del 4,3% rispetto al Pil in soli due anni.
In termini nominali, essa è salita dell’1% contro un’inflazione del 6,3% e una crescita del Pil nominale del 10,1%. Il difficile arriva ora, poiché il 50% è quella soglia media pluridecennale da cui difficilmente siamo stati in grado di allontanarci al ribasso. L’Olanda spende sei punti percentuali in meno di noi, di fatti cresce più velocemente. La stessa Spagna si colloca poco sopra il 45%. La conferma che qualità e livelli di welfare non hanno a che fare con la quantità di spesa pubblica.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

