La nostalgia è un sentimento nobile e che spesso fa a pugni con il raziocinio. Se chiedessimo agli italiani se volessero tornare indietro di trenta anni, con ogni probabilità molti risponderebbero di sì. C’è l’idea che si vivesse meglio, che tutto fosse ancora più a misura d’uomo. Ma l’Italia del 1995 era tutt’altro che una splendida realtà in cui prosperare. Fummo sull’orlo del default e quasi non ce ne accorgemmo. La montagna di interessi pagati sul debito pubblico era divenuta insostenibile. E sì che il peggio era appena passato grazie all’ambizione di entrare nell’euro, che aveva da una parte spinto i governi di quegli anni a un approccio più prudente ai conti pubblici, dall’altra i mercati a nutrire minore sfiducia nei nostri confronti.
Confronto tra titoli di stato passati e attuali
Alcuni numeri oggi ci sembrano quasi impossibili. Nell’ottobre del 1995, allo stato italiano emettere un BTp a 3 anni costava in media l’11,29%, un BTp a 5 anni l’11,54%, un BTp a 10 anni l’11,96% e un BTp a 30 anni il 12,30%. Sempre in media, quell’anno un Bot a 12 mesi offrì il 10,93%. Nel complesso, i titoli di stato resero l’11,10%. Nei primi dieci mesi di quest’anno, il costo di emissione è stato del 2,79%. In media, il Bot a 12 mesi è stato del 2,11% e il rendimento di tutti i titoli di stato del 3,055%. Per lo stato italiano indebitarsi per trenta anni significava spendere 3,22 miliardi netti di interessi in tutto su ogni miliardo richiesto al mercato. Oggi, il costo a scadenza è di 1,14 miliardi.
Crollo dei rendimenti e allungamento del debito
In pratica, gli interessi sul debito incidevano allora per l’11,1% del Pil contro il 3,9% atteso per quest’anno. In rapporto alla spesa pubblica, assorbivano allora il 21,6% contro meno dell’8% di oggi. Se avessimo continuato a pagare i creditori quanto un trentennio fa, avremmo dovuto scegliere tra fallimento o azzeramento dei servizi offerti al cittadino (scuola, sanità, pensioni, assistenza, ecc.). E non si pensi che l’inflazione giustificasse i livelli nominali dei rendimenti. Pur essendo quell’anno del 5,2%, i Bot annuali offrivano il 5,70% in più. I rendimenti annuali di quest’anno, in termini reali, non superano lo 0,50%.
Grazie al crollo dei rendimenti, il Tesoro poté accrescere la durata media delle scadenze emesse. Queste risultavano di appena tre anni agli inizi degli anni Novanta, mentre oggi si attestano a sette anni. Gli interessi sul debito italiano erano allora del 5-6% più alti in rapporto al Pil, mentre oggi risultano di neppure il 2% superiori. Disponiamo di oltre sette punti di Pil in più rispetto a trenta anni fa, che possiamo destinare al finanziamento dei servizi. E’ un’altra Italia, che spesso stentiamo a percepire per il pessimismo diffusosi negli ultimi decenni attorno alla nostra economia.
Interessi sul debito alti insostenibili
E’ vero che nella quotidianità non percepiamo il migliorato stato dei conti pubblici. Immaginiamo per un attimo, però, cosa significherebbe pagare oggi gli stessi interessi sul debito di allora. Altro che servizi pubblici. Saremmo già falliti da un pezzo e tagliati fuori dai mercati finanziari internazionali. Persino ricorrere ad un mutuo o prestito sarebbe proibitivo per via degli alti tassi reclamati dalle banche. Pagheremmo ancora più tasse di oggi ricevendo in cambio molto meno. Non saremmo neanche entrati nell’euro ed eventualmente ne saremmo usciti, ma senza che ciò si fosse tradotto in un qualche beneficio compensativo per consumatori, lavoratori e imprese.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

