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Oggi: 05 Dic, 2025

L’inflazione americana sale al 3%, ma con i dazi si temeva peggio: chi sta pagando il conto?

L'inflazione americana a settembre è salita al 3%, ai massimi da gennaio, anche se l'effetto dei dazi di Trump ancora non si nota granché.
1 mese fa
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Inflazione americana e dazi
Inflazione americana e dazi © Licenza Creative Commons

L’inflazione americana è salita ulteriormente nel mese di settembre, arrivando al 3% su base annua dal 2,9% del mese precedente. E’ il dato più alto dallo scorso gennaio, sebbene le attese del mercato fossero per un incremento tendenziale del 3,1%. Rispetto ad agosto, i prezzi al consumo presso la principale economia mondiale sono lievitati dello 0,3%. Un rallentamento dal precedente 0,4% e anche in questo caso sotto le stime, che puntavano su un dato invariato. Giù l’inflazione “core”, al netto di energia e generi alimentari freschi, dal 3,1% al 3%.

Mercato scommette su nuovo taglio dei tassi

Dopo la pubblicazione del dato sull’inflazione americana a settembre, il mercato stimava una probabilità del 97% che la Federal Reserve anche ad ottobre tagli i tassi di interesse dello 0,25%. E può sembrare un controsenso, dato che il target dell’istituto è e resta del 2%.

In teoria, la crescita dei prezzi continua ad essere più elevata dell’obiettivo e, pertanto, dovrebbe spingere Atlanta a tenere alto il costo del denaro.

La verità è che finora il presidente Donald Trump la sta spuntando. Contro tutto e tutti starebbe dimostrando che i dazi non inneschino alcuna minaccia inflazionistica. Difficile da capire e spiegare, poiché la matematica porta a credere il contrario. Eppure, nei sei mesi dall’annuncio dei dazi i prezzi negli Stati Uniti sono aumentati di neppure l’1,6%. L’accelerazione rispetto al +1,4% dei sei mesi precedenti è stata minima. Cosa ancora più inspiegabile, questo è avvenuto con un dollaro che ha perso in media il 7% nel semestre considerato rispetto al precedente.

Dazi esplosi dopo aprile

Un cambio più debole tende a rinfocolare l’inflazione americana, come altrove, in quanto accresce il costo dei beni importati. Gli analisti stimano che la tariffa media sulle importazioni sia esplosa dal 2,2% di inizio anno al 10% o finanche al 17,9% per alcuni calcoli. In base a tali numeri, a settembre l’inflazione annuale sarebbe dovuta essere nei pressi del 4%.

Invece, risulta un punto percentuale più bassa.

Cosa succede? Se i consumatori americani stanno pagando per il momento solo parzialmente il conto dei dazi, significa che qualcun altro se lo starebbe accollando. Chi? Le stesse imprese importatrici. Evidentemente, stanno addossandosi il maggiore costo dopo avere smaltito il magazzino, pieno di scorte nei mesi precedenti in vista proprio dei dazi. Se così fosse, i profitti delle aziende americane dovrebbero accennare almeno a un calo. Cosa che per ora non è avvenuta, ma nelle prossime settimane verificheremo con le trimestrali.

Inflazione americana contenuta, chi paga?

E’ altresì probabile che le stesse imprese esportatrici abbiano tagliato i prezzi per reagire sia ai dazi che al cambio più sfavorevole. Tutto, pur di non perdere l’accesso al mercato americano. Esso rimane il più ambito per chiunque nel mondo, grazie agli elevati ricchezza e reddito del consumatore medio negli Stati Uniti. L’inflazione americana non starebbe esplodendo, in quanto altri si farebbero carico della stangata. Per Trump una scommessa finora vinta, complici le importazioni relativamente basse in rapporto al Pil. Erano sotto l’11,5% nel 2024 contro il 25-30% di economie come Italia e Germania.

Essendo gli Stati Uniti una grande economia con un territorio immenso, dispongono di materie prime e capacità produttive elevate. Possono permettersi di acquistare dall’estero meno che le singole economie di medie dimensioni. I prossimi mesi diranno se stia cantando vittoria troppo presto. Intanto, la bilancia commerciale migliora. Le importazioni dal resto del mondo stanno diminuendo drasticamente dallo scorso aprile. Ed era questo il vero obiettivo del presidente.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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