1981 il divorzio tra Tesoro italiano e Banca d'Italia-Ricordati che devi morire, dice Cottarelli (1 Viewer)

tontolina

Forumer storico
Ricordati che devi morire, dice all’Italia il massone Cottarelli
Scritto il 04/9/18 • nella Categoria: ideeCondividi

C’era una volta l’Italia.
Era un paese pieno di problemi, come tutti gli altri paesi europei.
Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due qualità fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie.
D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica.
Il boom, il miracolo economico. Costruito come?
Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico.
Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori.

Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.
Neoliberismo, morte dello Stato sovrano.
Cartellino rosso: ora basta, dovete soffrire.

Chi lo dice?
Loro, l’élite finanziaria, la Banca Mondiale, il Fondo Moneriario.
Un nome? Carlo Cottarelli.
E perché mai dovremmo soffrire?
Perché sì, è la risposta.

Ed è vero: lo conferma il “Corriere della Sera”.

Queste sono cose che succedono, oggi, e che irritano moltissimo alcuni italiani.
Come Gioele Magaldi, per esempio. Magaldi è un italiano trasparente. E’ anche un massone, è stato il “maestro venerabile” della prestigiosa loggia Monte Sion del Goi, il Grande Oriente d’Italia.
Ricorda, a ogni pie’ sospinto, che questo paese è stato “fabbricato” da massoni, nell’Ottocento. Si chiamavano Garibaldi, per dire. E poi altri massoni, nel Novecento, alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno rimesso insieme i cocci di quel che restava del paese dopo il fascismo. Meuccio Ruini, repubblicano, presidente della commissione per la futura Costituzione. E Pietro Calamandrei, comunista, presidente della Costituente. Massoni, che all’epoca significava: fine dei privilegi di casta, suffragio universale, laicità e sovranità elettorale per ogni cittadino, uomini e donne, ricchi e poveri.

S’infuria, Magaldi, tutte le volte che qualcuno disconosce il ruolo storico della massoneria nella genesi della Repubblica italiana.
Si irrita, quando Di Maio e Salvini firmano il loro “contratto di governo” dove sta scritto che nessun massone potrà mai far parte del governo gialloverde.
Minaccia, Magaldi, di fare i nomi degli interessati: è pieno, il governo gialloverde, di massoni importanti.
Si spazientisce, Gioele Magadi, se qualcuno – magari della Lega – gli chiede di intercedere, presso la massoneria sovranazionale, per proteggere il governo Conte, così ferocemente avversato dalla supermassoneria reazionaria. Va bene, dice: vedremo.
Ma perché, intanto, non dichiarata apertamente l’appartenenza massonica di ministri e sottosegretari?
Parla, Magaldi, di cose che purtroppo sa. Per esempio: Luigi Di Maio, l’attuale capo dei 5 Stelle, prima delle elezioni bussò – inutilmente – alla porte degli stessi circuiti “neo-aristocratici” che avevano messo alla porta Matteo Renzi, un leader teoricamente progressista.
Oggi, dice Magaldi, Di Maio è maturato parecchio. Tante cose sono cambiate, in Italia, in pochissimi mesi.
Come fa, Magaldi, a esprimersi in questi termini?
Semplice: fa parte, lui stesso, del circuito massonico sovranazionale.
E’ stato “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, pietra miliare della massoneria internazionale progressista.

Cos’è una superloggia? Una Ur-Lodge, ha spiegato nel suo libro “Massoni” (edito da “Chiarelettere”, venduto in decine di migliaia di copie ma passato sotto silenzio dalla stampa mainstream) è un circolo esclusivo di persone importanti, che concorrono a decidere i destini del mondo senza che i mediane parlino mai. Ne ha parlato lui, infatti: ha messo a disposizione un archivio di 6.000 pagine, ma nessuno si è sognato di chiedergliene conto, e meno che meno di contestarlo o smentirlo.
Silenzio assoluto.
Ci sono tutti, in quel libro: Licio Gelli e Pinochet, Allende e i Kennedy, Martin Luther King, Kissinger e Bush, Gorbaciov, Draghi e Napolitano.
E il mitico Cottarelli?
Fa parte del penultimo capitolo della nostra infelicissima storia recente, dice Magaldi a David Gramiccioli,
conduttore del seguitissimo programma “Massoneria On Air” su “Colors Radio”.
Che dice, l’ex commissario alla spending review del paramassone Enrico Letta?
Semplice: che dobbiamo soffrire.
Che le promesse del governo gialloverde sono irrealizzabili. Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni, reddito di cittadinanza? Pura follia, dichiara il Cottarelli al “Corriere della Sera”, che lo presenta – si stupisce Magaldi – come un paladino della crescita. Lui, Cottarelli? Tanto per cominciare, sottolinea Magaldi, Cottarelli è un massone. Un massone occulto, non dichiarato. Poi è un massone che appartiene ai circuiti sovranazionali, quelli delle Ur-Lodges. E soprattutto: milita nella destra politico-economica, la Chiesa neoliberista che prescrive al popolo di tirare la cinghia. E’ lo stesso Cottarelli che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oppose all’ipotesi di governo gialloverde, nel bocciare Paolo Savona al ministero dell’economia. Ma attenzione, ricorda Magaldi: poco prima, era stato lo stesso Di Maio a sventolare il nome di Cottarelli come campione di virtù politica, in campo economico.

Oggi, sul “Corriere della Sera”, Cottarelli ripete stancamente la sua luttuosa canzone: non ce la possiamo fare. Sembra non conoscere la storia dell’Italia democratica: è come se parlasse del Burundi, non di un paese del G8. Ricorda il frate medievale che, nel film “Non ci resta che piangere”, ripete a Massimo Troisi il suo illuminante monito: “Ricordati che devi morire”.
No, Cottarelli, gli risponde Magaldi: certo, avete cercato di farla morire, l’Italia, ma non ci siete riusciti. Ce l’avete messa tutta: voi, la Merkel, Draghi, Monti, Napolitano, Juncker e tutta la banda.
Massoni, dal primo all’ultimo. Massoni opachi, non dichiarati, e in più “neo-aristocratici”, allergici alla democrazia.
Ma, per vostra sfortuna, l’Italia non è il Burundi (e detto tra noi, non è ancora morta). Era, e resta, una delle prime dieci economie del pianeta. Come lo è diventata? Non certo tagliando la spesa pubblica, non certo amputando il deficit. Non sa, Carlo Cottarelli, come fu che l’Italia divenne la quinta economia del mondo? Col debito pubblico, ovviamente. Non lo sa, il Cottarelli? No, non è possibile, come è impossibile che non lo sappia il “Corriere della Sera”, che presenta il Cottarelli come una specie di guru venuto da altri mondi, da qualche cartoon della Disney.

Se ne rammarica, Gioele Magaldi. Se ne sorprende. Ma avverte: verrà il giorno, molto presto, in cui nessuno potrà più permettersi di dire all’Italia “ricordati che devi morire”. Nonostante le molte manchevolezze, aggiunge, è bene sostenere – oggi – il provvisorio governo gialloverde: almeno pensa alla vita degli italiani, non alla loro morte. A quella ci hanno pensato in tanti, da Berlusconi a Prodi, passando per D’Alema e Amato, Padoa Schioppa, Dini, Ciampi e compagnia piangente. Un coro greco: povera Italia.
Ma era solo teatro. Ci siamo cascati? Eccome.
La cosa sconcertante, rileva Magaldi, è che ci siano ancora in giro i Cottarelli, riveriti – a reti unificate – come arcangeli dell’apocalisse, anziché spazzati via come mosconi fastidiosi e deprimenti.
Questo, infatti, dice l’economista del Fondo Moneriario: dobbiamo soffrire, dobbiamo morire.
Non possiamo proprio immaginarcelo, un futuro migliore.
Siamo dunque il Ruanda? No, siamo l’Italia. Qualcuno, prima o poi, lo spiegherà a Cottarelli (e al “Corriere della Sera”, se mai ancora esisterà).
…..

(Gioele Magaldi è presidente del Movimento Roosevelt nonché gran maestro del Grande Oriente Democratico. E’ autore del saggio “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, edito da Chiarelettere).
 

tontolina

Forumer storico

Magaldi: i gialloverdi scelgano, Tria (e Draghi) o gli italiani
18/9 •
«Il massone Giovanni Tria scelga chi servire: il popolo italiano o l’élite neoliberista incarnata dal pessimo Mario Draghi, il demolitore dell’Italia, che ora si complimenta con lui». Non usamezzi termini, Gioele Magaldi, nel sollecitare il governo gialloverde a diffidare dall’atteggiamento “frenante” del ministro dell’economia: «I gialloverdi avevano promesso agli elettori reddito di cittadinanza, meno tasse e pensioni dignitose. Se non manterranno la parola data saranno loro a pagare, non certo Tria e le altre figure tecniche dell’esecutivo».
Dove trovare le coperture?
Semplice: occorre sfondare il famoso tetto di spesa del 3%, stabilito da Maastricht in modo ideologico, senza alcun fondamento economico-scientifico: più deficit significa far volare il Pil e creare lavoro.

«Si tratta di smascherare Bruxelles e ingaggiare una dura battaglia, in Europa: solo l’Italia può farlo.
E se Tria “frena”, preferendo ascoltare Draghi, Visco e Mattarella, allora è meglio che Salvini e Di Maio lo licenzino, perché a pagare il conto alla fine saranno loro, per la gioia del redivivo Renzi, che infatti già accusa il governo gialloverde di parlare molto e combinare poco».
La ricetta di Magaldi?
«Non temere il ricatto dello spread e sfoderare con l’Unione Europea, per il bilancio 2019, la stessa fierezza mostrata da Salvini nel denunciare l’ipocrisia dell’Ue che lascia ricadere solo sull’Italia il problema degli sbarchi di migranti».

----------------------------------------------------------------------
Durerà 5 anni anni, l’esecutivo gialloverde?
Gli italiani innanzitutto si augurano che faccia le cose che ha promesso, in nome delle quali è stato legittimato, e che abbia anche una coerenza tra teoria e pratica, tra ragionamento e immaginazione, con capacità di concretizzare gli obiettivi. In tanti ricorderanno il recente exploit di Matteo Renzi, che fino a qualche anno fa sembrava l’enfant prodige della politica italiana, fino a ottenere un grande risultato alle europee portando il Pd al 40%. Io credo di esser stato tra i pochissimi, allora, a indicare la fumosità e il carattere del tutto aleatorio e inconsistente della traiettoria renziana.
Molti, poi, a partire dal referendum del 2016 sono diventati antirenziani, quasi con la bava alla bocca: persone che avevano creduto in quella grande stagione annunciata da Renzi. Poi quel consenso si è dissolto, e oggi il Pd è ridotto al lumicino. Resto un sostenitore del governo gialloverde, perché ritengo che abbia iniziato un percorso di transizione verso la Terza Repubblica e perché credo che il centrodestra e il centrosinistra, così come li abbiamo conosciuti, sono definitivamente tramontati – ed è bene che siano tramontati, perché sono i responsabili di questi ultimi 25 anni di decadenza italiana.

Ma, anziché porsi il problema della durata del governo Conte, sarebbe ora di chiedersi cosa farà davvero, perché finora si è limitato quasi solo alle chiacchiere.

Uno potrebbe dire: diamogli tempo, c’è una tempistica anche tecnica. Ma il problema è che da quello che viene configurato dal dicastero più importante (quello dell’economia) queste novità per le quali il popolo aveva premiato Lega e 5 Stelle ancora non si vedono, all’orizzonte. Si vede invece un traccheggiare, un tirare al ribasso. E si vede purtroppo una subalternità ai soliti diktat di Bruxelles, anziché la giusta fierezza che c’è stata nell’affrontare un aspetto del tema immigrazione (un aspetto, perché – a parte lo stop agli sbarchi indiscriminati – ancora il governo non ha spiegato che piano ha per il Mediterraneo per il Medio Oriente).
Al di là della fierezza con la quale Salvini ha comunque posto il problema all’Europa – gestire collegialmente il tema migranti: una questione tuttora aperta e controversa – sul versante economico ci sono solo timidi balbettii. E sembra che alla fine ci si inchini ai paradigmi imperanti a Bruxelles e a Francoforte. E lo spauracchio dello spread non viene affrontato e smascherato per quello che è: cioè un vile ricatto, una sorta di vessazione sovranazionale organizzata. Perché allo spread si può mettere fine semplicemente, puntando politicamente sulla confezione di Eurobond o con altre modalità. Insomma, rispetto a questo, il governo mi sembra deficitario e balbettante, balbuziente. Di questo dovremo tenere conto, perché 5 anni di balbuzie non risolveranno i problemi italiani.

Giovanni Tria? E’ un massone, certo: uno dei tanti massoni presenti nella compagine di governo. Questa è una maggioranza “strana”: da un lato, nel “contratto di governo”, sostiene che non avrebbe ammesso massoni nel Consiglio dei Ministri e negli altri organi istituzionali di designazione governativa, ma poi invece – come già ebbi modo di annunciare – il Consiglio dei ministri è pieno di massoni: massoni “bene intenzionati”, apparentemente, cioè di segno progressista o moderato-progressista, certamente avversi a quei circuiti neo-aristocratici il cui campione sempiterno appare oggi in Europa Mario Draghi. Ma ce ne sono tantissimi di massoni neo-aristocratici, e alcuni – come Mario Monti – hanno già svolto opera di commissariamento per la decadenza dell’Italia. Un altro, Carlo Cottarelli, oggi – come opinionista – “vicaria” quello che è stato il ruolo di Monti e porta quelle stesse idee. Ce ne sono tantissimi, in giro, di massoni di quel tipo; ma in questo governo, invece, ci sono massoni di segno progressista, che dovrebbero aiutare ad uscire fuori dal paradigma dell’austerità e del neoliberismo.
Ecco, Giovanni Tria era uno di questi: uno di coloro il cui ruolo doveva essere quello di rassicurare formalmente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che – a mio parere, attentando alla Costituzione – aveva messo un veto su una personalità come Paolo Savona al ministero dell’economia, senza nessuna giustificazione di tipo istituzionale ma con un ragionamento davvero eversivo e post-democratico, se non antidemocratico, in base al quale “i mercati” non avrebbero visto di buon occhio la nomina di Savona.
Pur essendo un personaggio di grande spessore e anche di grande sobrietà e moderazione, Savona veniva visto come uno spauracchio, rispetto alla tenuta del solito paradigma che da decenni ammorba l’Italia e l’Europa, cioè il paradigma neoliberista – che diventa paradigma dell’austerità, in questi anni. Il nome di Tria, comunque, fu suggerito anche da Savona. Doveva avere questo ruolo: consentire a Mattarella di uscire dall’impasse anche istituzionale (si paventava la sua messa in stato di accusa perché il suo atto era stato grave). Tria più “rassicurante” di Savona, quindi, gradito anche personalmente dal “gran maestro” Mario Draghi e dal suo luogotenente Ignazio Visco, governatore di Bankitalia.

Ma lo stesso Tria, una volta garantita una rassicurazione formale, avrebbe dovuto procedere in modo simpatetico e coerente con quelle istanze (minime) del programma di governo della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Istanze che prevedevano e prevedono, ad esempio, un reddito di cittadinanza come preludio ad una serie di politiche volte a rendere l’occupazione piena e diffusa in modo capillare, a beneficio dei cittadini italiani. E soprattutto si prevedeva una drastica riduzione delle aliquote fiscali, anche senza arrivare alla flat Tax, quindi mantenendo una differenziazione delle aliquote in base ai redditi – comunque una drastica riduzione, che giovasse a professionisti e aziende, e ridesse fiato all’economia. Queste cose però comportano evidentemente dei costi. Se si rimane nel paradigma attuale, la canzone è sempre la stessa: non ci sono i soldi per poter attuare queste scelte, inclusa la revisione della legge Fornero e tante altre cose, annunciate sull’onda del disastro di Genova (si è parlato di un grandissimo piano di investimenti, di manutenzione e rifacimento di infrastrutture). Ecco, per fare queste cose ci vogliono denari pubblici. Soldi che, naturalmente, immessi nel circuito economico italiano, significano rivitalizzazione dell’economia. Vuol dire investire seriamente su un aumento del Pil, e quindi – in prospettiva – migliorare il rapporto tra deficit e Pil.

E questo in una interpretazione anche minimale, cioè anche senza contestare quella lezione (contestabilissima) secondo cui il rapporto debito-Pil è un male in sè (e non lo è affatto).
Ma ripeto, anche a voler rimanere in una narrazione di quel tipo, ad uno Stato deve essere consentito quello che non è consentito ai privati, e cioè: poter aumentare il deficit, perché il deficit produrrà un incremento importantissimo del Pil. Si tratta di capovolgere, quindi, i parametri neoliberisti che predicano i tagli alla spesa.
Questa era l’idea di base, nel programma del governo gialloverde, ma far questo significa mettere in discussione il pareggio di bilancio in Costituzione (che rappresenta un ulteriore peggioramento di quel tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil stabilito dal Trattato di Maastricht). E per far questo bisogna affrontare una battaglia politica, in Europa. Una battaglia fiera, che denunci anche il ricatto permanente dello spread. Perché esiste una connivenza tra quelle forze finanziarie che chiaramente operano sul mercato dei titoli di Stato e che fanno innalzare i tassi di interesse dei titoli italiani. E quelle istituzioni sedicenti europee, ma in realtà antieuropeiste, hanno disgregato il sogno europeo: lo stanno distruggendo.
E in questo quadro il ministro Tria cosa fa?
Tria riceve l’altro giorno gli elogi di Mario Draghi. E allora, signori, c’è qualcosa che non va, nel governo, se qualcuno riceve gli elogi di Mario Draghi, che è il principale burattinaio in una collegialità di grandi burattinai che operano in Europa e nel mondo verso certe finalità.

Vuol dire che Tria è il ministro sbagliato: non si può servire due padroni.
O si serve il popolo sovrano, si lavora al servizio del popolo italiano e dei suoi interessi, oppure si servono gli interessi oligarchici e post-democratici e rappresentati da personaggi come Mario Draghi, a capo di una Banca Centrale Europea che non risponde a nessun potere politico democraticamente eletto ma che pretende di dettar legge ai governi democraticamente eletti.
Se Tria è elogiato da Draghi, allora non ci siamo.
E noi, come Movimento Roosevelt e come massoni progressisti, dovremo chieder conto a Tria del suo operato.
Perché allora la sua non è una tattica: Tria sta effettivamente frenando la possibilità che questo governo riesca a onorare le promesse fatte, al punto da fare il gioco di chi, come il redivivo e velleitario Renzi, ora dice “ecco, questi cialtroni che promettevano tanto non hanno fatto niente, io almeno avevo dato l’obolo degli 80 euro”.
Lo dico agli amici gialloverdi: state attenti, perché vi esponete a questi attacchi. E alla fine si rischia di rimanere schiacciati dalle aspettative deluse. Il popolo ti accusa di non aver mantenuto le promesse, e gli avversari ti irridono, ti rinfacciano di essere solo fumo e niente arrosto.

La cosa paradossale è che, se si perde questa occasione, poi il conto lo pagano il Movimento 5 Stelle e la Lega, a cominciare da Salvini e Di Maio.
Il ministro Tria si sta rivelando un vero e proprio problema.


Poi c’è un altro massone, il ministro Enzo Moavero Milanesi, che è un ex neo-aristocratico “di rito montiano”,
quindi teoricamente molto sospetto, accreditatosi però come vocato a una sua nuova cifra, un nuovo percorso massonico progressista, e quindi accolto come persona utilizzabile in questo frangente, anche se la politica estera italiana continua ad essere zero su tutte le questioni importanti.

Alla fine, comunque, personaggi come Tria e Moavero, che non hanno dirette responsabilità e storie politiche, non collegati a un elettorato e a partiti e movimenti, possono tranquillamente “fregarsene” di quella che poi sarà la delusione degli elettori, incassando il plauso e anche qualche buona riconoscenza tangibile e materiale, per il presente e per il futuro, dai “signori del vapore”, cioè da quelle élite neo-aristocratiche e antidemocratiche che hanno i loro terminali in Mario Draghi, in Sergio Mattarella, in Ignazio Visco, in Christine Lagarde, in Emmanuel Macron, in Angela Merkel e in tanti altri personaggi che imperversano in Italia e in Europa.

I ministri “tecnici” potrebbero sentirsi alla fine cooptati in quel consesso, ricevere prebende e incarichi prestigiosi, e quindi a questi personaggi può anche non importare la disillusione rispetto alle aspettative dei cittadini. Chi pagherebbe il conto sarebbero Di Maio, Salvini e tutte le classi dirigenti attualmente impegnate in questa operazione di governo, Lega e Movimento 5 stelle.
Quindi attenzione, ragazzi: guardatevi bene.
Lo dico a Di Maio e Salvini: questi vanno fatti rigare dritto. Sono personaggi assunti per svolgere un ruolo tecnico all’interno del governo, e quindi o lo svolgono in direzione di una prospettiva diversa, oppure vanno licenziati.
Tria può essere sostituito con Savona, Moavero Milanesi con chiunque (tanto, agli esteri non si fa nulla – ma se ci fosse un buon ministro degli esteri forse daremmo anche un nuovo slancio alla politica estera italiana).
Giuseppe Conte? Dei tre in questo momento è il meno sospetto: diciamo che sta cercando di tenere insieme la baracca. Ma il problema non è di nomi. Il problema è di cose che si fanno o non si fanno. Quindi, se la scelta di Lega e 5 Stelle è quella di rispettare gli impegni presi, bisogna evitare che il popolo si penta dell’investimento che ha fatto in termini di fiducia. Una disillusione come quella che ha investito Matteo Renzi sarebbe la morte politica di Lega e Movimento 5 Stelle.

Qui si tratta di portare alle estreme conseguenze una battaglia politica per cambiare paradigma, per ottenere l’agibilità economica per fare certe cose. Cioè: un grande piano di infrastrutture, di manutenzione e di ricostruzione.
Significa abolire la legge Fornero e riscrivere una legge sulle pensioni, abbattere drasticamente le aliquote fiscali, finanziare un reddito di cittadinanza come preludio a quel obiettivo (che è roosveltiano) della piena occupazione, cioè della costituzionalizzazione del diritto al lavoro.
Queste cose vanno fatte sforando tutti i parametri europei, imposti senza nessun fondamento scientifico-economico da parte non solo dei burocrati, ma direi proprio di una narrativa globale del neoliberismo, cioè di un sistema che fa gli affari di pochi in danno degli interessi dei moltissimi. Una volta presa questa via si può affrontare qualunque cosa: se verrà usata l’arma impropria dello spread si potranno cercare comunque sponde nel mondo, non solo in Cina, in Russia e negli Stati Uniti, ma insomma a livello sovranazionale – e non mancheranno gli aiuti a tenere basso lo spread.
Ma se anche vi fosse una guerra sullo spread si potrebbe persino scegliere di mostrare il vero volto di queste politiche.
Cioè l’Italia: viene attaccata sul piano dei mercati perché si rifiuta di chinare la testa e di non fare l’interesse popolare. Sarebbe anche un modo per dire, da parte di Salvini e Di Maio: “Ci stanno strangolando, noi andiamo a nuove elezioni perché così non possiamo governare, andiamo a nuove elezioni e facciamo il botto, il pieno di consensi”.

Perché gli italiani li premierebbero, degli eroi che affrontassero senza paura i mercati e la retorica dello spread, la retorica dei mandarini di Bruxelles e Francoforte, la retorica dei signori della globalizzazione post-democratica. E a quel punto sarebbe un successo elettorale. Invece, se ci si cala nel ruolo rattrappito di “ragionierini” che cercano di far quadrare i conti disputandosi un miliarduccio qua e un miliarduccio là per calmare il rispettivo elettorato cercando di fare le nozze coi fichi secchi, ebbene, in questo tirare a campare poi si tirano le cuoia.
Quindi, inviamo un primo avvertimento chiaro a Lega e 5 Stelle, loro stesso interesse oltre che in quello del popolo italiano. Aggiungo che comunque i tempi sono ormai maturi per il varo del “partito che serve all’Italia”, che dia in prospettiva quella forza, quella decisione e quel coraggio che forse, in questo momento, sta venendo meno a Lega e 5 Stelle.
Oppure, se questi soggetti politici non sono in grado di interpretare le esigenze di cambiamento del popolo italiano, il “partito che serve all’Italia” (che riceverà il nome dei suoi costituenti) si candiderà evidentemente a ereditare il ruolo storico dei gialloverdi.
Ma siccome qui non si tratta di liquidare l’esperienza gialloverde prima ancora che sia cominciata, ribadisco che questa esperienza può portare buoni frutti. Però siamo già ad un punto in cui bisogna mostrare di che stoffa si è fatti.

(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli nella diretta “Massoneria On Air” del 17 settembre 2018 su “Colors Radio”).

Articoli collegati
 
Ultima modifica:

tontolina

Forumer storico
Magaldi: democrazia, non “sovranismo”. O rivince l’élite
Scritto il 25/9/18 • nella Categoria: ideeCondividi


Sovranista a chi? Se accettate di lasciarvi chiamare in quel modo, fate un favore proprio a quei poteri oligarchici che vorreste combattere. Parola di Gioele Magaldi, che avverte: c’è un equivoco, “sovranismo” non è affatto sinonimo di “sovranità”.
Che senso avrebbe, ad esempio, tornare alla lira, se la moneta nazionale fosse gestita nel modo sciagurato che fu introdotto nel 1981 dai massoni Ciampi e Andreatta ben prima dell’avvento dell’euro? Un avviso a Giorgia Meloni: va bene restituire dignità all’Italia, ma senza «nostalgie “conservatrici” per chissà quale buon tempo andato».
L’ex guru di Trump, Steve Bannon? «Un personaggio folkloristico e anche simpatico», il promotore di “The Movement”, network che si propone di coordinare la carica “sovranista” alle prossime europee. Ma siamo sicuri che, dietro certe manovre, non ci sia lo zampino dei soliti noti? In fondo è comodo, il recinto del sovranismo.
Molto più scomodo – e più utile per tutti – sarebbe invece costringere un oligarca come Mario Draghi a usare finalmente l’euro a beneficio del popolo, non delle banche.
Se c’è una cosa di cui quell’establishment marcio ha davvero paura, sottolinea Magaldi, non è l’ambiguo sovranismo, ma la cara, vecchia sovranità democratica: che pure avevamo, e che ci è stata confiscata dall’élite neoliberista, dominata dai massoni neo-aristocratici che negli ultimi trent’anni hanno cancellato l’idea stessa di Europa unita.

Autore del bestseller “Massoni”, che rivela il grande potere di 36 superlogge sovranazionali nella cabina di regia della globalizzazione imposta “a mano armata”, senza diritti, Magaldi – massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt – fornisce la sua personale lettura dell’attualità ai microfoni di “Colors Radio”: lo stesso Isis, sostiene, è un progetto criminale coltivato dalla parte peggiore di quei cenacoli occulti, pronti a ricorrere persino all’orrore del terrorismo stragista per alimentare la guerra globale cui stiamo assistendo, gestita da interessi economici che si riparano dietro il paravento delle nazioni. Supermassoni reazionari, che sono riusciti a far rimangiare, all’Occidente, le conquiste inaugurate proprio da Roosevelt – l’economia espansiva fondata sul deficit positivo, secondo la ricetta del massone progressista Keynes – e la “Great Society” dello stesso Lyndon Johnson, alimentata dalle idee e dal coraggio di Bob Kennedy e Martin Luther King.

LUnione Europea?
Capolavoro dell’élite neo-aristocratica, il più subdolo dei poteri: finto-progressista e finto-democratico. Pronto, oggi, anche a liquidare la nascente opposizione con la più comoda delle etichette, il “sovranismo”, che di fatto «è una falsa moneta», liberamente circolante – anche nell’Italia gialloverde – grazie a quegli stessi democratici che accettano di farsi chiamare “sovranisti”.

«E a proposito di false monete», Magaldi ricorda di esser stato il primo, in tempi non sospetti, ad anticipare la “profezia” oggi rilanciata da Steve Bannon: l’Italia come unico punto di partenza possibile, in Europa, per una grande riscossa popolare. «Ma la riscossa che ha in mente Bannon – precisa Magaldi – non è quella di cui parlo io e di cui parlano i massoni limpidamente democratici: quella che abbiamo in mente noi è una rivoluzione democratica che vada a risvegliare la democrazia sostanziale, non soltanto in un paese ma in istituzioni sovranazionali che devono essere funzionanti per contrastare poteri privati altrettanto sovranazionali».
Attenti alle “monete fasulle”, insiste Magaldi: in fondo, fanno comodo «a quelle élite apolidi e post-democratiche, anzi antidemocratiche, che poi sono le élite di natura massonica contro-iniziatica che si dicono europeiste ma invece hanno distrutto il sogno degli Stati Uniti d’Europa». Equivoci a reti unificate, sui media-mainstream: «Adesso sembra che la contrapposizione sia, da una parte, tra tutti coloro che amano i valori democratici e progressisti, liberali, “politically correct”, e dall’altra i “sovranisti”, che sarebbero dei nazionalisti un po’ beceri e un po’ xenofobi, ripiegati su se stessi e incapaci di cogliere l’importanza delle costruzioni sovranazionali».
«Quando in tanti accettano di farsi definire “sovranisti” sembra che le cose stiano così, ma non è vero», sostiene Magaldi: «Ciò che conta è la sovranità del popolo, che significa democrazia. E si può declinare tanto a livello nazionale quanto a livello internazionale o sovranazionale. Anzi: per contrastare questo tipo di globalizzazione, di segno post-democratico e neo-aristocratico, servono strutture pubbliche, politiche, legittimate dal popolo». Strutture di caratura anche sovranazionale, ribadisce Magaldi, «perché a chi possiede le armi atomiche non si fa la guerra con archi e frecce, da un avamposto locale o nazionale», per di più «in un contesto nel quale si muovono forze che penetrano le nazioni e riescono addirittura, dentro le nazioni, a creare dei cavalli di Troia o delle quinte colonne che poi ti levano la sedia da sotto il sedere».
La parola da usare, oggi, è un’altra – sovranità popolare – declinata in Italia e nel resto del mondo, senza frontiere. «E a tutti coloro che tacciano i loro nemici di “sovranismo”, chiederei: ma perché, voi non siete per la sovranità popolare? Siete per la sovranità di gruppi oligarchici apolidi e sovranazionali?».

Meglio essere chiari, dice sempre Magaldi: «Chi si schiera tra i conservatori e contro la sovranità popolare evidentemente ha in mente una idea di governance (locale, globale, nazionale) di tipo neo-aristocratico: ed è proprio nel passato conservatore, tradizionalista, che le pulsioni democratiche si sono dovute affermare con fatica». D’ora in avanti, annuncia l’autore di “Massoni”, il Movimento Roosevelt «farà una campagna politico-pedagogica proprio su questi temi, e anche sul termine “sovranista”».
E insiste: «È un equivoco, il sovranismo: il rispetto per la sovranità popolare dovrebbe essere patrimonio condiviso di tutti».
La prima a calpestarla, la nostra sovranità, è proprio l’antidemocratica Unione Europea, «gestita da personaggi impresentabili come frontman delle istituzioni: personaggi screditati e davvero indegni di rappresentare il grande sogno europeo».
Punto primo: bocciare un’Europa «dove la Bce è l’organo più potente di comando», e dove il Parlamento Europeo non conta niente eppure «si esprime in modo vergognoso, come ha appena fatto nel caso della legge sul copyright, la censura sul web».
Il punto di svolta? «Una Costituzione politica europea, che imponga di usare l’euro per favorire il benessere collettivo». Sarebbe la fine della speculazione contro gli Stati, la fine del ricatto dello spread.
Ora più che mai, servirebbe «una coesione europea in grado di avere anche una politica estera comune», e invece «oggi non c’è nessuna Europa».
Il recupero della democrazia, riconosce Magadi, passa certamente per il ritorno alla sovranità monetaria: «La moneta – europea o nazionale, non importa – deve essere amministrata dai rappresentanti del popolo». Le banche centrali? Già prima dell’Eurozona erano «degenerate in un potere autonomo, un potere che poi è diventato sovraordinato addirittura a quello delle istituzioni politiche democratiche». Così le banche centrali hanno tradito il loro mandato: «Dovevano invece, in ultima istanza, rispondere alle esigenze dei popoli sovrani».
Rivendicare un ritorno alla lira? Inutile, se poi la moneta nazionale non viene gestita in termini democratici. Magaldi ricorda «il famigerato divorzio tra Bankitalia e ministero del Tesoro del 1981, favorito dai massoni Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, che agivano per conto di circuiti massonici non progressisti bensì neo-aristocratici». Quello strappo determinò già negli anni ‘80 «un aggravio enorme per le casse dello Stato, in termini di interessi sul debito pubblico», visto che la banca centrale «smetteva, in fondo, di garantire l’acquisto dei titoli di Stato italiani». Già quello, osserva Magaldi, era un modo per mettere la lira in difficoltà.
Quindi, più che tornare alla valuta nazionale, «bisognerebbe preoccuparsi di rendere l’euro una moneta che dipenda da un potere politico democraticamente legittimato». E cioè: bisogna smettere di avere un euro «che viene gestito a discrezione della Bce, senza che nessun potere politico democraticamente legittimato possa intervenire».
La Banca Cebntrale Europea?
Lo sappiamo: «Pur essendo un istituto di diritto pubblico è proprietà anche di privati e risponde a logiche del tutto apolidi, sovranazionali, sganciate da qualunque livello politico democratico: questo è il problema. Finora, l’euro è stato governato da «quel funesto personaggio di Mario Draghi, che ha utilizzato la moneta europea per favorire sostanzialmente banche e interessi finanziari».
Ha grandi colpe, il “venerabile” Draghi, spesso spacciato come paladino dell’Italia. Niente di più falso. Non c’era affatto il benessere del Balpaese, nella “mission” del super-tecnocrate di Francoforte, “regista” delle privatizzazioni italiane dall’epoca del Britannia, poi passato dal Tesoro a Bankitalia, alla Goldman Sachs, alla Bce. «Draghi non ha mai pensato di fare in modo che da questa moneta potesse venire un rilancio economico sociale del continente stesso. E allora, poi, si capisce perché la gente abbia vagheggiato il ritorno alla lira».
La moneta, però, resta un mezzo. Il problema vero? E’ il timone politico: «Una Costituzione europea democratica, e un Parlamento Europeo che emani democraticamente un Consiglio dei ministri, mettendo fine a queste farlocche Commissioni Europee, che sono degli ibridi che non dicono nulla». Il vero obiettivo, chiarisce Magaldi, è un governo europeo finalmente legittimato dal voto popolare. Un euro-governo democratico, «che abbia il poteredi indirizzare le strategie della Bce e di utilizzare la moneta euro a favore dei popoli, e non contro i popoli».
Come arrivarci?
Magaldi, nonostante tutto, si mostra fiducioso nelle piccole crepe che il governo gialloverde sta aprendo, nel Muro di Bruxelles.
E saluta con favore il possibile avvento di Marcello Foa alla presidenza della Rai: «Non condivido alcune sue idee, ma mi risulta che sia un uomo libero: come presidente Rai sarebbe di gran lunga migliore dei suoi predecessori». Da giornalista indipendente, Foa è stato tra i primi a dare il benvenuto alla speranza gialloverde, intesa come possibile recupero di sovranità democratica. Tutto giusto, secondo Magaldi, a patto che si abbia ben chiaro il fatto che l’establishment italiano ha adottato gli stessi metodi dell’aborrita oligarchia europea: «Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, si permette il lusso di dire che non bisogna sforare i parametri di spesa, del tutto irrazionali e vessatori, stabiliti dagli euro-burocrati. La Banca d’Italia che detta le regole al governo? Deve accadere esattamente il contrario».
 

tontolina

Forumer storico
Cestinare i Cottarelli: New Deal, o l’Italia muore con l’Ue
Scritto il 29/9/18 • nella Categoria: idee • (14)


L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli è tornato a farsi sentire.
Dopo aver visto sfumare la possibilità di sedere a Palazzo Chigi a capo di quello che, in assenza di accordo fra Lega e M5S, sembrava destinato a configurarsi come “governo del presidente”, sembra sempre pronto a fare le pulci alle proposte economiche dell’esecutivo Conte.
Ecco quindi che nelle ultime ore, è tornato a definire irrealizzabili il reddito di cittadinanza, la Flat Tax e la riforma della Fornero. “Lo Speciale” ha chiesto un commento all’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, influencer su Twitter e autrice di libri economici di successo. Quanto di vero o di sbagliato c’è nel pensiero di Cottarelli, già criticato da altri autorevoli economisti come Nino Galloni, Antonio Maria Rinaldi e Giulio Sapelli? «Quello di Cottarelli e di tutti gli economisti “allineati” al pensiero unico neoliberista, che trova nella Ue la sua compiuta realizzazione, è il solito approccio, come da contabile», sostiene Bifarini.
«Si guardano unicamente i numeri di bilancio, senza nessuno sguardo sul futuro e sulla crescita del paese. L’unica preoccupazione è quella di rispettare i vincoli dettati da Bruxelles, ignorando che le loro ricette economiche fallimentari non fanno che peggiorare lo stato di salute di tutti i paesi nei quali vengono adottate».

Sul reddito di cittadinanza però sono molti ad avanzare dubbi effettivi sulla sua fattibilità – anche economisti come Sapelli, per esempio, non pregiudizialmente ostili a questo governo. «Per valutare il costo del reddito di cittadinanza occorre tener conto di come verrà realizzato, quanto si riuscirà ad agganciarlo a investimenti pubblici produttivi. Mai come in questo momento – sostiene Ilaria Bifarini – ci rendiamo conto di quanto il nostro territorio abbia bisogno di manutenzione e nuove infrastrutture. Se lo Stato, anche attraverso lo strumento del reddito di cittadinanza, ben strutturato e collegato ai centri territoriali per l’impiego, riuscisse ad avviare un nuovo “New Deal”, offrendo opportunità di lavoro alla enorme schiera di giovani disoccupati nel recupero del territorio e nel rilancio del prezioso settore del turismo, i benefici sul medio e lungo periodo sarebbero senz’altro superiori ai costi». Di fatto, aggiunge l’economista, si innescherebbe un circolo virtuoso capace di riportare l’economia sul sentiero della crescita. Finché invece «si ragiona con la miopia dell’obbedienza ai parametri contabili dell’Ue», si rivela impossibile uscire dal tunnel, nel quale Cottarelli e gli altri sembrano voler imprigionare l’Italia in eterno.

C’è chi vede all’orizzonte un autunno nero con l’assalto dei mercati e lo spread alle stelle?
«Lo spread ha andamenti altalenanti che risentono di fattori contingenti, come la fine del quantitative easing e la crisi della Turchia e, ultimo, il giudizio delle agenzie di rating, che hanno provocato dei rialzi temporanei, che non sono comunque allarmanti», risponde Ilaria Bifarini, sempre nell’intervista rilasciata a “Lo Speciale”. «Ad ogni modo – aggiunge – essendo in un sistema a valuta unica in cui la politica monetaria non è prerogativa nazionale, finché il debito continua a salire, la minaccia (reale o presunta) dello spread continuerà a farsi sentire». Il problema, sottolinea Bifarini, è che – come provato dalla teoria e dall’evidenza in tutti i paesi in cui sono state applicate – le politiche di austerity provocano un aumento del debito stesso. «Un esempio plateale è quello della Grecia. Solo introducendo misure anticicliche capaci di stimolare la domanda e l’occupazione si può uscire da questa trappola». In altre parole: «Se vuole sopravvivere, l’Europa deve rivedere completamente le sue politiche di intervento, fornendo sostegno e garanzie a paesi che si trovino ad affrontare situazioni di crisi».
Urge un New Deal europeo, appunto, che permetta di «abbandonare una volta per tutte la logica “fault the victim” di cui la Germania è portatrice».
E a proposito della politica di Berlino, direttamente connessa all’impazzimento dello spread italiano proprio quando serviva a detronizzare Berlusconi per imporre il “commissario” Monti, Ilaria Bifarini dichiara: «La crisi dello spread del 2011 è stato un vero e proprio golpe finanziario messo in atto dalla Deutsche Bank e architettato per attuare un cambio di governo in Italia». Oggi, per fortuna, la situazione è molto diversa: «Credo che sia l’attuale governo che il suo elettorato abbiano più esperienza e consapevolezza degli strumenti utilizzati dagli eurocrati per preservare il sistema economico e finanziario».
Come dire: l’Italia sembra aver finalmente sviluppato precisi anticorpi politici. «Sarà dunque improbabile che si possa replicare una situazione analoga, anche se i rischi di speculazioni sui mercati sono forti, come ha avvertito lo stesso Giorgetti».
 

tontolina

Forumer storico



THE CRAXI FACTOR! LA PROFEZIA DI BETTINO: “L'EURO IMPOVERIRÀ L'ITALIA. L'UNIONE MONETARIA FATTA IN MODO PRECIPITOSO È CONDANNATA A UNA NASCITA PREMATURA, MALATICCIA" -SULL’EUROPA: "RISCHIAMO SALARI PIU’ BASSI E PEGGIORI PRESTAZIONI SOCIALI" - IN UN LIBRO GLI INEDITI DI CRAXI SULLA POLITICA ESTERA - I SOSPETTI SU PRODI AMICO DEI GOLPISTI ANTI GORBACIOV – ECCO COSA DICEVA IL DIPARTIMENTO USA NEL 1987
http://www.dagospia.com/rubrica-3/p...tor-profezia-bettino-ldquo-39-euro-184425.htm

2 ott 16:20
craxi-1065293.png
 

tontolina

Forumer storico
La verità scomoda per l’Europa sul debito pubblico italiano, esploso per salvare l’Occidente
La verità sul debito pubblico italiano fa male all'Europa, ma sarebbe opportuno ammettere come davvero sia stato costruito negli anni Ottanta e perché demonizzarlo va contro la storia dell'Occidente.
di Giuseppe Timpone, pubblicato il 06 Ottobre 2018 alle ore 10:36
debito-pubblico-occidente-640x342.jpg

Sono settimane intense per l’Italia sul fronte dei conti pubblici. Il governo Conte, sorretto da Lega e Movimento 5 Stelle, ha fissato inizialmente al 2,4% il deficit-obiettivo per i prossimi 3 anni, sentendosi minacciare dalla UE di bocciatura della manovra di bilancio e accostare il nome dell’Italia dal presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, alla Grecia. Lo scontro politico durissimo in atto tra Bruxelles e Roma e l’esplosione dello spread BTp-Bund fin sopra i 300 punti base per la scadenza decennale hanno indotto lo stesso esecutivo ad addolcire la manovra, fissando un deficit più basso per il biennio successivo al 2019, ossia al 2,1% nel 2020 e all’1,8% per il 2021. I mercati si sono stabilizzati, ma resta il fatto che i nostri decennali rendono ancora più del doppio degli spagnoli e 6-7 volte in più dei Bund. La paura tra gli investitori è frutto sostanzialmente della mancata “copertura” politica dei nostri conti da parte della UE. L’Italia si mostra isolata e oggetto di dichiarazioni da “bullismo” istituzionale, che non solo stanno aggravando la percezione nel resto del mondo, ma che cozzano palesemente con la storia.

Perché troppo debito pubblico in mani italiane frena la crescita economica

C’è un ritornello, in parte giusto e in parte volutamente esasperato, che viene ripetuto a ogni occasione di confronto sugli spazi di manovra fiscale richiesti da Roma: l’Italia ha un debito pubblico molto alto e non può permettersi di imitare la flessibilità fiscale concessa agli altri stati dell’area. Giustissimo, ma anche no. I dati percentuali sono effettivamente a noi sfavorevoli, possedendo il terzo debito più alto al mondo, pur non essendo noi la terza economia mondiale. Abbiamo un rapporto debito/pil al 131% contro poco più del 60% della Germania, il 97% della Francia e poco meno del 100% della Spagna. In più, non cresciamo nemmeno quando gli altri corrono. E ancora, spendiamo troppo e male. Su tutto questo, l’Europa ha ragioni da vendere. E, però, servirebbe creare un clima diverso, rassicurante per gli investitori, al fine di abbassare la percezione del rischio e agevolare il risanamento fiscale dell’Italia. Al netto delle tensioni finanziarie di questi mesi, continuiamo a pagare interessi molto più alti di quelli che i mercati chiedono alle altre principali economie e ciò annulla il beneficio di un avanzo primario invidiabile per il resto del mondo. Al netto degli interessi sul debito, chiuderemmo il bilancio in attivo del 2% del pil e negli anni pre-crisi eravamo arrivati al 4-5%, percentuali insostenibili politicamente altrove e un miraggio persino nell’austera Germania.

La storia del decennio folle all’italiana
Intendiamoci, un debito è un debito e va onorato sempre, non certo ripudiato. Serve all’Europa, però, cambiare atteggiamento con l’Italia, non (solo) perché siamo un paese troppo grande per essere salvato, ma anche e, soprattutto, perché bisognerebbe passarsi la mano sulla coscienza e capire le ragioni per le quali questo mostro di 2.300 miliardi di euro sia stato creato. Alla fine degli anni Settanta, il rapporto tra debito e pil nel nostro Paese era ancora al 56%. Nel 1989, un decennio più tardi, risultava esploso a più del 93% e nel 1994 raggiungeva il picco di quasi il 122%. Cos’è accaduto in quello che a tutti gli effetti definiremmo un decennio di pura follia? Per capirlo, dovremmo andare indietro non agli anni Ottanta, bensì a un anno specifico, il 1976. Accadeva che la nostra economia crebbe allora del 6,6%, uscendo da una recessione l’anno prima, causata dalla prima crisi petrolifera del 1973, quando le quotazioni del greggio quadruplicarono e travolsero tutto l’Occidente.

Agli inizi del ’76, la Banca d’Italia registrò deflussi costanti e crescenti di capitali e non riusciva a capirne la ragione fino in fondo. Cosa stava accadendo? Un sondaggio commissionato da Confindustria e fatto circolare tra gli iscritti dava il Partito Comunista in testa sulla Democrazia Cristiana nelle intenzioni di voto degli italiani per le elezioni politiche del giugno successivo. Tra gli imprenditori e i capitalisti fu panico. Chi poté, portò i capitali all’estero, tanto che il governo si vide costretto a imporre controlli sui movimenti finanziari, chiudendo per ben 40 giorni il mercato dei cambi per difendere la lira. A giugno, i risultati elettorali smentirono le attese: il PCI raggiunse il 34,4% dei consensi, ma la DC restò prima con il 37,7%. Il pericolo comunista fu sventato per un pelo, ma l’allarme scattò lo stesso in Europa.
Al G7 di luglio, una dichiarazione congiunta firmata dai principali leader dell’Occidente, tra cui gli americani Gerald Ford e Henry Kissinger, il tedesco Helmut Schmidt per la Germania Ovest, James Callaghan per il Regno Unito e Michel Debré per la Francia recitava sostanzialmente così: se il PCI entra nel governo, l’Italia non riceverà alcun tipo di aiuto dall’estero. In sostanza, saremmo stati isolati sul piano economico-finanziario. Erano i mesi in cui il premier Aldo Moro apriva proprio ai comunisti per tentare la formazione di un governo insieme, irritando gli alleati socialisti.

Perché vi parliamo di un apparentemente anonimo 1976?
Per una ragione fondamentale: la classe politica comprese, specie dopo il brutale assassinio di Moro di due anni dopo, che il malcontento popolare fosse forte e che bisognasse svoltare. E una politica debole equivale quasi sempre a conti pubblici squilibrati.
Così fu. Negli anni Ottanta, l’ascesa del Partito Socialista di Bettino Craxi creò le condizioni ideali, peraltro sotto una presidenza della Repubblica anch’essa socialista con Sandro Pertini, per aprire la strada a governi guidati dalla sinistra, ma al contempo anti-comunisti.
Di meglio, l’Occidente non poteva pretendere.
Nonostante il boom di consensi per il PCI alle elezioni europee del 1984, quando la DC fu clamorosamente superata, pur più per la commozione dettata dalla morte del segretario Enrico Berlinguer avvenuta nelle stesse settimane, gli anni Ottanta videro proprio il declino dei comunisti italiani, similmente a quelli del blocco sovietico. E ciò fu reso possibile anche e, soprattutto, per via di una politica fiscale espansiva, che pose fine per quel periodo alle proteste sociali, rendendo popolare una classe politica effettivamente alla canna del gas. Del resto, negli anni Sessanta era stata proprio l’America “keynesiana” a mostrarsi irritata con Roma per i conti pubblici tenuti troppo in ordine e tali da fomentare malcontento sociale e ridurre (per gli americani) i benefici del Piano Marshall.

Debito pubblico costo della lotta interna al comunismo
In altre parole, il debito pubblico fu il costo caricato sulle future generazioni dai governi del penta-partito negli anni Ottanta per evitare che l’Italia cadesse nelle mani dei comunisti. Certo, avessero saputo i Craxi e gli Andreotti del tempo che il Muro di Berlino sarebbe caduto di lì a breve e che del Patto di Varsavia non sarebbe rimasto nulla alla fine di quel decennio, forse sarebbe prevalsa in loro e nei rispettivi partiti una maggiore prudenza fiscale. Ad ogni modo, non diciamo che l’Europa dovrebbe ringraziare quell’immensa montagna di debito che sta seppellendo da 30 anni l’economia italiana e crea rischi sistemici nel Vecchio Continente, ma quanto meno dovrebbe evitare di demonizzarlo, capendo che esso sia servito per tenere intatto il blocco occidentale, quello in cui hanno potuto prosperare nazioni come Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, etc. Il costo che i tedeschi hanno dovuto sostenere per risollevare la Germania dell’Est dopo il 1990, noi italiani lo avevamo già pagato nel decennio precedente, al netto delle ruberie di stato, della corruzione dilagante e delle laute mazzette ai partiti.
Dentro a quei 2.300 miliardi c’è di tutto:
appalti gonfiati per finanziare i partiti (compreso il PCI), appalti finanziati al solo scopo di spendere e creare lavoro,
inefficienze private scaricate sul pubblico,
inefficienze statali a carico dei contribuenti,
assistenzialismo a piene mani nel Meridione per consentire di sopravvivere a milioni di italiani altrimenti destinati forse alla povertà o all’espatrio, in assenza di una struttura produttiva estesa e robusta.
Tutto ciò ha alimentato il consenso per democristiani e socialisti, sottraendolo ai comunisti.
Giusto o sbagliato che sia stato, questa è la storia in estrema sintesi del nostro debito pubblico.
Capirla sarebbe una grande lezione per Bruxelles, dove ci si renderebbe conto di sbraitare contro un Paese, che non vive sopra le proprie possibilità da diversi decenni e che lo fece negli anni in cui si temette davvero di finire in mano a Mosca.
E proprio la Germania, che ha vissuto sofferenze e costi dettati dal comunismo, dovrebbe mostrarsi più ragionevole sulla storia non troppo dissimile di un alleato, che ebbe per mezzo secolo anch’esso un muro al suo interno, seppure non fisico.

[email protected]


Come la Germania fregò l’Italia pure con la lira negli anni Ottanta

E se il debito pubblico italiano fosse più solido di quello francese?
 

tontolina

Forumer storico
chi ha fatto più debito pubblico
Maurizio Blondet 10 ottobre 2018 8 commenti
Incredibile: Giuliano Amato ci svela la verità sulla crisi economica.

Riprendo da IcebergFinanza questa tabella.
E ricordare che nel 1980, quando ancora vigeva il “matrimonio” fra Tesoro e Banca Centrale, il debito publico era sotto il 60% del Pil: il risparmio italiano finanziava se stesso, e la crescita del Pil.
Nel 1981, non per legge bensì con un paio di lettere che si scambiarono privatamente il ministro del Tesoro (Andreatta) e il governatore di Bankitalia (Ciampi), quest’ultima cessò di acquistare i BOT che i “mercati” non assorbivano, come aveva fatto prima, in pratica cessando di calmierare gli interessi sul debito.

Utile lettura:
Incredibile: Giuliano Amato ci svela la verità sulla crisi economica.

Non ho certamente simpatia per Giuliano Amato. Evidente la sua responsabilità per le politiche di austerità eseguite tra il 1992 ed il 1993 ed altrettanto evidente quella che ha nella costruzione dell’eurozona.

Durante il mandato da Presidente del Consiglio il suo Governo approvò due manovre lacrime e sangue. La prima da 30.000 miliardi di lire in cui tra le altre cose veniva deliberato (retroattivamente) il prelievo forzoso del sei per mille dai conti correnti bancari. Durante l’estate poi si oppose con forza alla svalutazione della lira e nell’autunno varò la seconda manovra lacrime e sangue, stavolta da 93.000 miliardi di lire (tagli alla spesa, aumento del prelievo fiscale ed attacco alle pensioni).
Le manovre di Amato ebbero un impatto catastrofico sull’economia italiana che si riprese facendo l’unica cosa possibile: abbandonando lo SME. Non fu dunque la politica lacrime e sangue a tirarci fuori dalla crisi ma la svalutazione della lira.
Ma ora guardate questo video di Amato:



Qualcosa non torna vero? Se non si sentisse la voce e non si vedesse il faccione di Amato potrebbe sembrare una lezione di economia del Prof. Antonio Maria Rinaldi, oppure una delle conferenze che spesso facciamo in giro per l’Italia. Amato, in sostanza, dice la pura e semplice verità circa la politica economica e monetaria europea.

Per chi non volesse guardare il video vi trascrivo il testo:
“Noi abbiamo fatto una moneta senza Stato, noi abbiamo avuto la faustiana pretesa di riuscire a gestire la moneta senza metterla sotto l’ombrello di un potere caratterizzato da quei metodi e quei modi che sono propri dello Stato e che avevano sempre fatto ritenere che fossero le ragioni della forza, della credibilità che ciascuna moneta ha. Eravamo pazzi? Qualche esperimento nella storia c’era Stato di monete senza Stato, di monete comuni, di unioni monetarie, ma per la verità non erano state molto fortunate. Perché noi quando ci siamo dotati di una moneta unica abbiamo pensato che potevamo riuscirci in termini di unione e non facendo lo Stato europeo? Avevamo costruito un mercato economico fortemente integrato, più o meno avevamo un assetto istituzionale, (omissis…) abbiamo anche previsto di avere una banca centrale, però abbiamo deciso che trasferire a livello europeo quei poteri di sovranità economica che sono legati alla moneta era troppo più di quanto ciascuno degli Stati membri era disposto a fare e allora ci siamo convinti e abbiamo cercato di convincere il mondo che sarebbe bastato coordinare le nostre politiche nazionali per avere quella zona, quella convergenza economica, quegli equilibri economici fiscali interni all’Unione Europea che servono a dare forza reale alla moneta. Non tutti ci hanno creduto. Molti economisti, specie americani, ci hanno detto guardate che non ci riuscirete, non vi funzionerà, se vi succede qualche problema che investe anche uno solo dei vostri paesi non avrete gli strumenti centrali che per esempio noi negli Stati Uniti abbiamo che può intervenire il governo centrale, riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle finanze locali. La vostra banca centrale se non è una banca centrale di uno Stato non può assolvere alla stessa funzione che assolve una banca centrale di uno Stato che, quando lo Stato lo decide, DIVENTA IL PAGATORE SENZA LIMITI DI ULTIMA ISTANZA. In realtà noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà e abbiamo previsto che l’UE non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati che la banca centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati, che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie per i singoli Stati, insomma moneta unica dell’euro zona ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso. ERA DAVVERO DIFFICILE CHE FUNZIONASSE e ne abbiamo visto tutti i problemi”.

Davvero se non si trattasse di Amato sembrerebbe un qualunque euro critico, uno di noi insomma. In realtà Amato dice unicamente l’unica verità possibile ovvero che senza il potere (la sovranità) di emettere moneta liberamente uno Stato viene schiacciato dalla speculazione perché non ha gli strumenti per imporre il valore della moneta e per difenderla. Infatti come si potrebbe provvedere a se stessi con queste regole? La moneta sta all’economia come il sangue ad un corpo e pertanto serve averne in circolo la quantità giusta che necessariamente differisce da un’economia all’altra. Il divieto di aiutare chi è in difficoltà è addirittura clamoroso. Insomma davvero l’euro fu un patto faustiano!

Tuttavia è chiaro, dal tenore letterale del discorso, che Amato vuole far passare l’idea che serva uno Stato che detenga sovranamente la moneta per risolvere la crisi. Nessuna critica al concetto di cessione della sovranità emerge dalla sua discussione che è corretta unicamente nelle valutazioni economiche.

Nonostante la chiarezza e l’ovvietà delle osservazioni di Amato, che non nega affatto che la moneta sia creata dal nulla e che non esista alcun limite quantitativo nella sua emissione, ci sono molti economisti incompetenti (o in malafede) che negano ancora oggi le valutazioni in esame, in quanto ormai si sono perdutamente innamorati delle frottole liberiste dell’austerità espansiva. Insomma, come dice Amato, alcuni imbranati si sono davvero convinti che l’eurozona potesse funzionare. Ovvero ci sono professionisti che si sono fatti circuire nonostante le competenze specifiche in materia.

Poi ovviamente ci sono anche gli economisti in malafede come Saccomanni, Padoan, Draghi o come Mario Monti il cui nome ci rimanda al tema dei temi, ovvero a quella sovranità che questi individui ritengono debba essere ceduta.
La nostra costituzione vieta espressamente le cessioni di sovranità acconsentendo alle mere limitazioni finalizzate all’adesione dell’Italia ad un’organizzazione internazionale che promuova la pace e la giustizia tra i popoli (art. 11 Cost.). È ovvio che la sovranità non possa essere ceduta a terzi poiché la stessa appartiene inderogabilmente al popolo: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro la sovranità appartiene al popolo (omissis…)” (art. 1 Cost.). La sovranità è un elemento irrinunciabile della democrazia, anzi è la sua essenza.

Amato benché oggi sieda in Corte Costituzionale ha dimostrato di non aver alcun rispetto della Costituzione stessa preoccupandosi unicamente del lato economico e della creazione di un nuovo Stato. Andrebbe immediatamente rimosso dall’incarico.

Amato dovrebbe sapere che i principi fondamentali della nostra Costituzione sono immutabili. Quella attuale è la forma definitiva della nostra Repubblica come prevede l’art. 139 Cost.: “la forma Repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

Questo comporta che qualsiasi tentativo di menomare sovranità ed indipendenza del Paese per farlo confluire i un nuovo super Stato (a prescindere dalla sua natura democratica o meno) è giuridicamente un atto eversivo. Il grande Calamandrei, durante il dibattito della costituente, disse qualcosa di molto chiaro e se vogliamo molto duro laddove ricordò ai Colleghi i veri effetti della formulazione dell’art. 139 che era stata prescelta.

La forma Repubblicana diventava quella definitiva dello Stato e nessuno avrebbe più potuto toccarla, nemmeno una maggioranza parlamentare legittimamente instaurata. Infatti, e sono parole di Calamandrei, anche se solo una minoranza esigua avesse voluto mantenere viva l’attuale forma di Stato, essa avrebbe addirittura avuto diritto all’uso della forza per ripristinare la Costituzione qualora la maggioranza l’avesse modificata oltre i limiti dell’art. 139 Cost.Insomma un problema insormontabile.

Ecco allora che seguendo le parole d’Amato si comprende perfettamente cosa successe all’approvazione di Maastricht. Alcuni Paesi erano restii a cedere completamente la loro sovranità. Dunque venne architettata la truffa della creazione di una banca centrale zoppa (che non crea senza limiti denaro per gli Stati che possono così fallire) e la truffa dei limiti all’indebitamento (ergo all’espansione monetaria) imposti dai criteri di convergenza del protocollo n. 12 allegato al Trattato (ove si codificò il paletto del 3% deficit-pil e quello del 60% debito-pil).

In questa configurazione normativa la crisi era assolutamente certa come sostanzialmente ammette Amato. Infatti non solo non si consentiva di aumentare la moneta circolante ma addirittura con i criteri di convergenza ci si obbligava a ridurla.

Ecco che allora la crisi non è il risultato dell’idiozia di un intera classe dirigente ma è uno strumento: la leva per imporre con la forza la cancellazione degli Stati nazionali vincendo le resistenze alla cessione della sovranità nazionale.
In ogni caso, fermo restando quanto detto circa l’immutabilità della forma Repubblicana, è oltremodo chiaro che, in via teorica, se anche formassimo un super stato europeo (e sarebbe un atto illecito sanzionato anche penalmente dall’ordinamento italiano) l’unica condizione affinché con esso si possa creare una democrazia sarebbe il pieno riscatto della sovranità che dovrebbe tornare ad essere prerogativa dei popoli e non di una banca centrale indipendente dalle istituzioni europee. Questo consentirebbe nuovamente la difesa dello Stato sociale ed il primato dei diritti inalienabili sul potere economico.

L’Europa finanzierebbe senza alcun limite di spesa il welfare di tutta la sua popolazione, atto oggettivamente dovuto.
Tuttavia questo è uno scenario impossibile. Infatti la volontà europea, la volontà dei padri fondatori era quella di costituire una dittatura finanziaria che cancellasse la democrazia. I popoli dovevano essere sottomessi. La finanza dunque si apprestava a riuscire laddove nessun Paese era mai arrivato neppure con la guerra.

La Grecia è e resta davvero il più grande successo dell’euro concepito dai fondatori di questa moneta criminale poiché è la dimostrazione che un popolo può essere prima sottomesso e poi schiacciato fino al punto di costringerlo ad accettare la perdita di ogni diritto sulla base di una paura immaginaria: quella di non avere più denaro.

Si mettono le persone nella condizione di rinunciare a tutto oppure di temere per la propria stessa vita, esattamente come in tutte le altre dittature. La differenza è che in una dittatura armata la ribellione porta al sangue mentre oggi basterebbe creare la moneta che manca per determinare immediatamente la fine della crisi in Grecia ed in Europa senza che nessuno possa fermarci.
La liberazione è possibile solo con la comprensione ma la strada è in salita. Speriamo che almeno ascoltare quello che diciamo di solito ai convegni dalla viva voce di Amato serva a svegliare qualche mente assopita. Anche se per alcuni davvero non c’è più speranza.

Ricordate Amato:una banca centrale di uno Stato che, quando lo Stato lo decide, DIVENTA IL PAGATORE SENZA LIMITI DI ULTIMA ISTANZA”.

Il default di uno Stato è solo una scelta politica e non un fato inevitabile, la moneta si crea dal nulla!



Svegliamoci!
 

Users who are viewing this thread

Alto