Se le tasse spremono hotel e negozi in crisi per il Covid, il timore è che gli unici a potersi permettere di continuare a gestirli in piena pandemia Covid saranno gli imprenditori cinesi che le tasse non le pagano. Si torna a parlare del metodo “apri e chiudi”.

Qui sotto potete trovare l’intervista completa con l’intervento di Giovanni Mainolfi, Comandante Regionale della Guardia di Finanza per il Veneto, ospite di VeneziaRadioTV.

 

Giovanni Mainolfi: i cinesi non pagano le tasse in Italia

Come si evince non si tratta di voler essere o meno complottisti e vedere nel Covid una strategia di potenziamento dell’economia cinese.

La questione fiscale degli imprenditori asiatici era nota già da prima. La crisi post pandemia spinge casomai ad analizzare i possibili effetti.

Senza voler cadere in facili luoghi comuni sui cinesi che non pagano le tasse, ecco i numeri riportati da Mainolfi della GdF:

  • oltre 10000 imprenditori cinesi in Italia;
  • un volume di affari di 33 milioni euro;
  • solo a Venezia 850 attività, tra negozi e hotel ma anche agenzie di viaggio, sono gestite da cinesi (nel 1998 erano appena 45);
  • più del 60% delle attività cinesi del Veneto dichiarano appena 5000 euro all’anno;
  • quasi 570 milioni d ricavi che finiscono in gran parte in Cina bypassando il Fisco italiano.

 

Il numero di attività cinesi a Venezia, ipotizzano alcuni, è tale da far pensare che non si tratti di iniziative autonome e indipendenti ma di un progetto comune, di un piano a lungo termine per la gestione del turismo locale. Peraltro la media sopra riportata è sottostimata rispetto alla realtà perché non tiene conto dei casi in cui il passaggio di proprietà – da un imprenditore veneziano ad uno cinese – viene fatto in nero e non registrato regolarmente. Ed anche tra le operazioni in regola una parte non viene tracciata dalla Guardia di Finanza perché derivante da commesse estere.

Come contrastare il metodo apri e chiudi dei cinesi che non pagano le tasse

Il metodo utilizzato è stato ribattezzato “apri e chiudi” perché l’attività viene ufficialmente cessata entro tre anni dall’apertura impedendo alle autorità di eseguire i controlli fiscali posto che il titolare fa perdere le tracce. Il tutto in violazione dell’articolo 53 della Costituzione: il fine sociale dell’attività economica viene del tutto a mancare.

 

La soluzione per contenere questo sistema e i suoi effetti dannosi potrebbe essere quella di imporre un principio di solidarietà nel pagamento delle tasse d’impresa. Più semplicemente: se non si riesce a rintracciare il titolare, saranno tenuti al versamento i soggetti che in suo nome e per suo conto esercitano l’attività commerciale. E il titolare della licenza diventerebbe responsabile anche di eventuali reati commessi dai gestori del banco.

 

Altra proposta per prevenire certe dinamiche, potrebbe essere di imporre a chi voglia aprire un’attività economica in Italia senza poter fornire garanzie di esperienza  e professionalità nel settore, il versamento di una cauzione di uno o due anni a favore dello Stato.