Ormai è imminente il completamento dell’iter della legge di Bilancio del Governo Meloni. Infatti entro fine anno la manovra deve essere approvata per poter entrare in vigore da gennaio prossimo. Anche le nuove pensioni quindi, dovrebbero entrare in vigore fin da inizio 2024, con tante novità, alcune brutte e altre favorevoli a chi in pensione vorrà andarci nel 2024.

Oggi non rispondiamo ad un quesito singolo di un lettore, ma a tutta una serie di quesiti che ci arrivano in redazione con le domande relative alle possibilità di andare in pensione l’anno prossimo.

Alcune cose infatti sono migliorate rispetto al 2023, con alcuni lavoratori che potrebbero adesso riuscire ad andare in pensione mentre senza novità non avrebbero potuto farlo. Per contro però c’è chi invece si troverà la porta chiusa proprio per via delle nuove misure e dei correttivi alle vecchie.

Tutti i pro e i contro delle nuove pensioni in vigore da gennaio 2024

Se si guarda solo alle proroghe, al momento solo ipotetiche proprio per via della non ancora ufficialità della legge di Bilancio, delle vecchie misure, non si può certo dire che la situazione sia migliorata. Per esempio, l’Ape sociale che fino al 31 dicembre 2023 può essere presa dai lavoratori con 63 anni di età, nel 2024 passerà a 63 anni e 5 mesi.

Oltretutto, se fino al 31 dicembre edili e ceramisti potevano sfruttarla con 32 anni di contributi, mentre invalidi, disoccupati e caregiver con 30 anni, nel 2024 queste categorie dovranno arrivare per forza di cose a 36 anni. Inoltre, la misura viene uniformata alla quota 103, nel senso che anche per l’Ape sociale arriva il divieto di cumulo con altri redditi. Infatti chi uscirà dal lavoro con l’Ape sociale, non potrà arrotondare la pensione con altri redditi da lavoro dipendente e autonomo.

L’unica eccezione ammessa è quella relativa a massimo 5.000 euro di reddito da lavoro autonomo occasionale.

Un problema serio questo per l’appetibilità della misura. Non fosse altro perché l’Ape sociale ha il limite massimo di 1.500 euro al mese come importo fruibile. E oltretutto è una misura che non ha la tredicesima mensilità, non ha le maggiorazioni sociali e nemmeno assegno per il nucleo familiare e indicizzazione al tasso di inflazione.

Significa che non sempre la misura è dignitosa come importo a tal punto da rendere, da punto di vista reddituale, autonomo un pensionato.

Finestre, importi e calcolo penalizzante dei trattamenti, ecco la misura che peggiora di più rispetto al 2023

Peggiora l’Ape sociale rispetto al 2023, ma quella che peggiora di più è quota 103. Infatti nel 2024 l’unica cosa uguale al 2023 resteranno età e contributi da centrare. Perché si uscirà ancora una volta con almeno 41 anni di contributi e almeno 62 anni di età. Per il resto cambia quasi tutto. Fermo restando il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro come quelli prima citati, ecco che la pensione massima passa da 5 volte il trattamento minimo come nel 2023, a massimo 4 volte lo stesso trattamento minimo.

Ma forse questa è la cosa meno grave, anche perché la pensione di chi esce con quota 103 nel 2024, sarà nettamente inferiore a chi riesce a farlo adesso. Perché si applica adesso il calcolo contributivo della prestazione. Anche per chi, alla luce di una carriera contributiva lunga già 18 o più anni al 31 dicembre 1995, avrebbe diritto al calcolo retributivo fino al 31 dicembre 2012.

Inoltre, per prendere il primo rateo di pensione con quota 103, bisogna aspettare 7 mesi nel settore privato e 9 mesi nel settore pubblico. Nel 2023 le finestre sono di 3 mesi nel settore privato e 6 mesi nel settore pubblico.

Opzione donna, cosa cambia?

Peggiora anche l’età di uscita di Opzione donna. Altra proroga di una misura in scadenza il 31 dicembre 2023 come l’Ape sociale e la quota 103, e altri inasprimenti.

Infatti nella conferma di Opzione donna nel 2024, sale di un anno l’età minima da centrare entro il 31 dicembre 2023.

Infatti in requisiti vanno completati sempre entro il 31 dicembre dell’anno precedente. La platea delle interessate a questa misura resta la stessa, ovvero licenziate, alle prese con crisi aziendali al MISE, invalide o chi assiste un parente stretto convivente disabile sotto legge 104. Ma se prima si poteva uscire a 58 anni con 35 anni di contributi, adesso si passa a 59 anni. Nello specifico le differenze sono le seguenti:

  • licenziate e dipendenti di aziende in crisi escono a 58 anni nel 2023, a 59 anni nel 2024;
  • caregiver e invalide escono a 58 anni nel 2023 se hanno avuto 2 o più figli, a 59 anni nel 2024;
  • invalide e caregiver escono a 59 anni nel 2023 se hanno avuto un solo figlio, a 60 anni nel 2024;
  • invalide e caregiver escono a 60 anni nel 2023 senza figli avuti, a 61 anni nel 2024.

Per il resto, finestra di 12 mesi confermata e 35 anni di contributi fissati come sempre.

Le pensioni per i contributivi, ecco una novità positiva e una negativa

I contributivi puri sono lavoratori che hanno iniziato a versare contributi all’INPS non prima del 1° gennaio 1996. Si chiamano così perché di fatto hanno la loro carriera iniziata dopo l’entrata in vigore della riforma Dini e del sistema contributivo. Per loro la normativa previdenziale ha una misura di favore che si chiama pensione anticipata contributiva. Ed una sfavorevole che è la pensione di vecchiaia ordinaria.

Ma nel 2024 si cambia, perché la pensione anticipata contributiva diventa meno favorevole perché sarà più difficile da prendere. Mentre la pensione di vecchiaia diventa più facile. Fino al 31 dicembre 2023 i contributivi puri possono accedere alla pensione anticipata contributiva a 64 anni di età. Ma sempre con almeno 20 anni di contributi e con una pensione pari o più alta di 2,8 volte l’assegno sociale.

Per la pensione di vecchiaia invece, servono almeno 67 anni di età, sempre 20 anni dio contributi, e una pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale.

Nel 2024 invece, la pensione anticipata contributiva sarà fruibile con 64 anni di età, almeno 20 anni di contributi e una pensione non inferiore a 3,3 volte l’assegno sociale. Per la pensione di vecchiaia invece viene eliminato il vincolo di 1,5 volte l’assegno sociale. Significa che in pensione ci andranno anche i contributivi puri e senza dover necessariamente rispettare il vincolo dell’importo minimo prima citato.