E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio il decreto legislativo n. 219/2023, decreto di riforma fiscale che apporta diverse modifiche allo Statuto del contribuente.

Lo statuto deve intendersi quale presidio normativo di tutela fiscale, patrimoniale ed in generale di tutela dei diritti del contribuente soprattutto nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.

La riforma fiscale rivede anche le regole legate alla c.d. autotutela tributaria (istituto deflativo del contenzioso) e al c.d. interpello, strumento quest’ultimo tramite il quale il contribuente richiede per iscritto chiarimenti fiscali specifici su una situazione di incertezza che lo riguarda personalmente.

Grazie alla riforma fiscale finalmente viene dato un valore sostanziale all’autotutela, il cui diniego può essere oggetto di impugnazione.

Detto ciò, vediamo nello specifico quali sono le principali novità apportate dalla riforma fiscale allo Statuto del contribuente.

Statuto del contribuente. Come cambia l’autotutela?

Fino a prima della riforma fiscale, l’istituto dell’autotutela era un mezzo a disposizione del contribuente al quale però non veniva riconosciuta massima efficacia. Infatti, una volta presentata l’istanza, l’Agenzia delle entrate non aveva alcun obbligo di risposta. Infatti, per il Fisco era corretto parlare di facoltà discrezionale (vedi portale Agenzia delle entrate).

Nè tantomeno era possibile impugnare un diniego tacito oppure un rifiuto espresso.

Inoltre, la presentazione dell’istanza non produce alcun effetto rispetto ai termini di proposizione del ricorso. Dunque, questi continuano a decorrere fino anche l’atto non diventava definitivo. Da qui, la decadenza di qualsiasi contestazione dinanzi al Giudice.

L’istanza di autotutela poteva essere presentata principalmente nei seguenti casi:

  • errore di persona;
  • evidente errore logico o di calcolo;
  • errore sul presupposto dell’imposta;
  • doppia imposizione;
  • mancata considerazione di pagamenti regolarmente eseguiti;
  • mancanza di documentazione successivamente presentata (non oltre i termini di decadenza);
  • sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
  • errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.

L’annullamento dell’atto illegittimo può essere effettuato anche se:

  • il giudizio è ancora pendente;
  • l’atto è divenuto ormai definitivo per decorso dei termini per ricorrere;
  • il contribuente ha presentato ricorso e questo è stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) con sentenza passata in giudicato.

Chi scrive, tanto per fare un esempio, ha presentato un’istanza di autotutela riguardante un atto di recupero di un credito Iva inesistente destinato a un contribuente, relativo a un periodo d’imposta interessato da una procedura fallimentare.

La strada per ottenere un riscontro da parte del Fisco è stata molto tortuosa, con la definitività dell’atto a cui poi ha fatto seguito la cartella. Tuttavia, in extremis, l’istanza di autotutela e l’errore macroscopico fatto dall’ufficio hanno portato allo sgravio della stessa cartella esattoriale.

Le novità sull’autotutela

La riforma fiscale, già in vigore prevede due distinte tipologia di autotutela: facoltativa e obbligatoria.

Il nuovo articolo articolo 10-quater della L.n. 212/2000, Statuto del contribuente, al comma 1, indica gli specifici casi in cui l’Amministrazione finanziaria procede obbligatoriamente all’annullamento o alla rinuncia ad atti di imposizione.

La norma, in particolare, stabilisce che l’amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione:

  • errore di persona;
  • errore di calcolo;
  • errore sull’individuazione del tributo;
  • errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria.

In tutti questi casi l’autotutela diventa rafforzata, ossia obbligatoria. Dunque viene meno il concetto di discrezionalità.

Il comma 2 specifica, invece, i casi in cui il Fisco non procede all’annullamento d’ufficio ovvero alla rinuncia all’imposizione.

Ciò avviene nelle seguenti situazioni: nel caso sia intervenuta sentenza passata in giudicato ad essa favorevole; in caso di atti definitivi, decorsi tre mesi dalla definitività per mancata impugnazione.

La responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti sarà limitata alla sola condotta dolosa dell’Ufficio”.

L’autotutela facoltativa

Accanto all’ipotesi di autotutela obbligatoria, ne vengono introdotte altrettante di autotutela facoltativa.

Nello specifico,  fuori dei casi di cui all’articolo 10-quater (autotutela obbligatoria), il Fisco può comunque procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione.

Ad esempio, l’autotutela facoltativa, troverà applicazione nei seguenti casi (vedi dossier D.Lgs 216/2023): doppia imposizione, mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti, mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati.

L’autotutela diventa impugnabile

Con la riforma fiscale, il diniego di autotutela diventa impugnabile.

Nello specifico, sarà possibile impugnare:

  • il diniego;
  • il silenzio da parte dell’amministrazione.

Tuttavia, rispetto al contenuto della legge delega (L.n°11/2023) nel testo del D.Lgs 216/2023 non sembra esserci traccia della possibilità di impugnazione del diniego dell’autotutela (o del silenzio dell’Ufficio). Anche se la stessa dovrebbe operare come conseguenza diretta dell’obbligo di autotutela ora previsto dal legislatore.

Le novità in materia di interpello

La riforma fiscale rivede anche la disciplina dell’interpello.

In particolare, si interviene sia sui casi di casi in cui è possibile ricorrere all’interpello sia prevedendo un contributo a carico del contribuente per la richiesta di chiarimenti.

Nello specifico, la presentazione dell’istanza di interpello è in ogni caso subordinata al versamento di un contributo:

  • destinato a finanziare iniziative per implementare la formazione del personale delle agenzie fiscali;
  • la cui misura e le cui modalità di corresponsione sono individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

L’entità del versamento è legata all tipologia di contribuente, al suo volume di affari o di ricavi e alla particolare rilevanza e complessità della questione oggetto di istanza.

Inoltre, posto che l’interpello è finalizzato a superare eventuali condizioni di obiettiva incertezza sull’applicabilità di una specifica norma, questa non ricorre quando l’amministrazione finanziaria ha fornito, mediante documenti di prassi o risoluzioni, la soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente.

Dunque, se non ricorre tale condizione di incertezza l’istanza di interpello è illegittima.

Riassumendo…

  • La riforma fiscale modifica lo Statuto del contribuente;
  • l’autotutela in alcuni casi diventa obbligatoria, viene meno il concetto di discrezionalità dell’Ufficio;
  • cambia anche la disciplina dell’interpello, ora a pagamento.