“Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo“, affermava Adriano Olivetti. L’attività lavorativa, in effetti, si rivela essere gioia e dolore nella vita di tutti noi. Inizialmente, d’altronde, è possibile che si riscontrino delle serie difficoltà a trovare un impiego e per questo motivo una volta assunti non si può che essere felici. Uno stato d’animo che nel corso degli anni può mutare, per via dei vari problemi e impegni che ogni lavoro porta con sé.

In particolare, dopo aver trascorso tanti anni a svolgere lo stesso lavoro può capitare a tutti di maturare il desiderio di poter staccare la spina e dedicarsi alle proprie passioni. In tale ambito, fortunatamente, giungono in aiuto delle rendite ponte. Quest’ultime pagate dall’Inps o dal datore di lavoro a favore di chi smette di lavorare prima di aver raggiunto l’età della pensione. Ecco di quali si tratta.

Smettere di lavorare a 60 anni prima della pensione: rendite ponte pagate dall’Inps o dal datore

Uscire anticipatamente dal mondo del lavoro, pur non avendo i requisiti per andare in pensione è possibile. Questo grazie a diversi strumenti che permettono di beneficiare di un contributo economico mensile in attesa di raggiungere l’età pensionabile. Entrando nei dettagli, ad esempio, una persona che perde il lavoro all’età di 65 anni può beneficiare della Naspi. Quest’ultima è riconosciuta a coloro che rimangono senza lavoro indipendentemente dalla propria volontà. La Naspi dura al massimo 24 mesi, con l’indennità corrisposta dall’Inps per la metà delle settimane lavorate nei quattro anni precedenti.

Altra misura molto utile e apprezzata è l’Ape Sociale che viene corrisposta a partire dall’età di 63 anni fino ad arrivare al raggiungimento dei 67 anni di età.

Per poter beneficiare di tale opportunità è necessario che i soggetti interessati abbiano maturato almeno 36 anni di contributi. Ma non solo, bisogna svolgere lavori gravosi o essere disoccupati, invalidi o caregiver. In quest’ultimi casi sono sufficienti trent’anni di contributi.

Contratto di isopensione ed espansione

Per finire citiamo due misure pagate dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ma finanziate dal datore di lavoro, ovvero il contratto di espansione e quello di isopensione. Quest’ultima, così come pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è stata prorogata fino al 2026 e consente ai datori di lavoro con più di quindici dipendenti, alle prese con eccedenza di personale, di concordare dei piani di esodo anticipato a carico dell’azienda stessa.

In tal modo si intende incentivare l’uscita dei lavoratori più anziani a cui mancano pochi contributi per beneficiare della pensione di vecchiaia o anticipata. In particolare i lavoratori interessati potranno andare in pensione a 60 anni, con ben sette anni di anticipo. Per quanto riguarda il contratto di espansione, invece, concerne aziende più grandi rispetto a quelle rientranti nell’isopensione. Ovvero anziché minimo 15 dipendenti, devono essere 50 dipendenti. In tal caso è possibile uscire dal mondo del lavoro con cinque anni di anticipo rispetto all’età per accedere alla pensione di vecchiaia.