“La tecnologia consente alle persone di connettersi sempre e ovunque, con chiunque nel mondo, da quasi tutti i dispositivi. Questo sta cambiando radicalmente il modo in cui le persone lavorano, facilitando la collaborazione 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con colleghi che sono suddivisi in fusi orari, paesi e continenti diversi“, afferma Michael Dell.

Sempre più persone lavorano in smart working. Un modo innovativo che consente di essere più agili e abbattere diversi costi, come ad esempio il carburante che si sarebbe dovuto spendere per raggiungere il posto di lavoro.

Ma come funziona sul fronte delle tasse? Ecco gli ultimi chiarimenti in merito da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Smart working, meglio in Italia o all’estero? Ecco come si pagano le tasse

Prima o poi può capitare a tutti di sperare di dare una svolta alla propria vita, magari cambiando lavoro o addirittura Paese. Un sogno nel cassetto che in molti riescono a tramutare in realtà grazie allo smart working, senza rimetterci contributi e pensione. Oltre ai tanti vantaggi che tale tipo di lavoro porta con sé, è bene prestare attenzione anche agli obblighi. Non parliamo solo delle scadenze da rispettare, così come richiesto da clienti e datori. Ci riferiamo anche alle tasse. Su quest’ultime, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti sui criteri a cui fare riferimento. Ovviamente a seconda che si abbia la residenza in Italia e si lavori per un’impresa estera o viceversa.

A tal fine, attraverso la circolare numero 25/E del 18 agosto 2023, l’Agenzia delle Entrate ha riportato alcuni esempi di profili fiscali in caso di smart working. Entrando nei dettagli, non deve pagare le tasse in Italia chi ha residenza all’estero e lavora in smart working per un’azienda del nostro Paese. Al contrario, deve pagare le tasse in Italia un cittadino italiano iscritto presso l’anagrafe dei residenti all’estero, che lavora per un’azienda straniera ma in modalità smart working dall’Italia, dove ha dimora abituale.

Dimora abituale e trasferimenti fittizi: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Soffermandosi sul concetto di dimora abituale, vengono considerati residenti nel nostro Paese i soggetti che per la maggior parte del periodo di imposta risultano iscritti nelle anagrafi della popolazione residente o hanno domicilio. Ne consegue che anche una persona straniera, non iscritta presso l’anagrafe italiana ma che lavora per la maggior del tempo nel nostro Paese, viene considerata ai fini fiscali residente in Italia. Entrando nei dettagli, come riportato anche da Fisco Oggi, la rivista online dell’Agenzia delle Entrate:

“al fine di contrastare il fenomeno dei trasferimenti fittizi di residenza all’estero, nella circolare si fa presente che il dato formale dell’iscrizione all’Aire e la circostanza di prestare l’attività lavorativa parzialmente o integralmente da remoto per un soggetto estero non sono di per sé elementi sufficienti a escludere la residenza fiscale in Italia qualora, da una valutazione complessiva dei rapporti economici, patrimoniali e affettivi, risultino integrati i criteri di individuazione della residenza fiscale nel territorio dello Stato”.

Quelli riportati, ovviamente, sono sono alcuni esempi. In caso di dubbi si consiglia di leggere la circolare dell’Agenzia delle Entrate prima citata e rivolgersi ad un esperto in materia. In questo modo è possibile sapere se e come pagare le tasse nel nostro Paese nel caso in cui si lavori in smart working.