I rapporti sessuali con il marito/la moglie rientrano nei cosiddetti doveri coniugali e rifiutarsi di averli significa violare gli obblighi di assistenza morale e materiale che il codice civile prevede per il matrimonio e può essere, quindi, motivo di addebito in caso di separazione.

Se la coppia è già in crisi, però, il rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il coniuge è giustificato.

A chiarirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza 47561 del 23 febbraio 2017: anche se nell’ambito del matrimonio non ci si può rifiutare di avere rapporti sessuali, che rientrino nella normalità (e che, quindi, non siano svilenti) con il coniuge, costringere il partner ad un rapporto sessuale rientra nella violenza sessuale.

Il no occasionale, infatti, può essere determinato dalle più svariate esigenze di carattere fisico o morale. A non essere tollerato dalla legge è il rifiuto sistematico all’adempimento dei propri doveri tanto da costituire un illecito civile che porta all’addebito dell’eventuale separazione della coppia. In caso di addebito, tra l’altro, non si ha diritto all’eventuale assegno di mantenimento da parte del coniuge (anche se, non essendo l’addebito una sanzione, chi la riceve non rischia di doverlo versare se non è tenuto).

Se, però, il rifiuto di avere rapporti sessuali con il coniuge avviene quando c’è già una crisi coniugale in atto e, quindi, non è il motivo scatenante della crisi stessa, è giustificato poiché non si può imporre l’intimità fisica laddove è venuto a mancare l’amore e la complicità in una coppia che è in continua tensione e litigi. In questo caso, però, bisognerà dimostrare, anche con prove testimoniali, che la coppia era già in crisi per evitare l’addebito.