Da anni oramai si parla con insistenza di pensioni flessibili. Un argomento che va meglio approfondito, partendo dalla definizione letterale di pensione flessibile. Perché effettivamente un sistema basato, come regole di calcolo delle pensioni, esclusivamente sul sistema contributivo, non può non avere misure di pensionamento flessibili. Ma la flessibilità di cui si parla riguarda quasi esclusivamente la facoltà di scelta del lavoratore. Perché flessibile non vuol dire poter scegliere una misura oggi e sostituirla con un’altra domani. Già questa è una osservazione che consente di rispondere a un nostro lettore che sta per scegliere la sua data di uscita dal mondo del lavoro.

“Buonasera, mi chiamo Andrea e sono un lavoratore che ha compiuto ieri 62 anni di età. Ho 41 anni di contributi e lavoro come camionista. Stando a ciò che mi dicono al patronato, già oggi in base al mio montante dei contributi, dovrei prendere una pensione di circa 3.200/3.300 euro al mese lordi. Ma secondo i miei interlocutori, con la quota 103, che è la misura che mi consentirebbe di andare in pensione oggi, non prenderò più di 2.800 euro. Vorrei sapere se davvero nel 2024 arriverà la quota 41 per tutti, che dovrebbe essere senza limiti di età e senza limiti di importo, potrò cambiare misura rinunciando alla quota 103 e passando alla quota 41?”

Pensione anticipata, un favore da un lato, ma occhio alle penalizzazioni

Come diciamo sempre, andare in pensione prima non è un evento scevro da penalizzazioni, tagli e limiti. E non facciamo riferimento solo agli importi delle pensioni. Oltretutto ci sono misure che una volta che hanno consentito a un lavoratore di andare in pensione, non possono più essere corrette. Anche se correggere non è il termine esatto, questo serve per dire che le scelte, in barba a qualsiasi principio di vera flessibilità, sono nella stragrande maggioranza dei casi, irreversibili. Alcune misure nascono temporanee e permettono di perdere qualcosa solo per il periodo di tempo relativo all’anticipo di pensione ottenuto.

Per esempio è il caso dell’Ape sociale, cioè dell’Anticipo pensionistico che consente il pensionamento già a partire dai 63 anni di età.

Ape sociale, ma non chiamatela pensione

La misura consente di accedere ad una sorta di reddito ponte che accompagna il lavoratore alla quiescenza vera e propria a 67 anni. Anche se a tutti gli effetti sembra una pensione, perché è erogata dall’INPS ogni mese come un qualsiasi altro trattamento previdenziale, l’Ape sociale non è una vera pensione. Ecco perché parliamo di reddito ponte. Infatti si percepisce a partire dalla data di decorrenza, che può essere a 63 anni o anche dopo. E fino alla data di compimento dei 67 anni di età. Data a partire dalla quale il trattamento di Ape sociale, cessa di essere erogato automaticamente. Sta al pensionato poi passare a richiedere la pensione di vecchiaia ordinaria.

Ci sono misure con penalizzazioni a termine ed altre con penalizzazioni perenni

L’Ape sociale non ha la tredicesima, non si indicizza al tasso di inflazione, non prevede maggiorazioni e nemmeno gli assegni per ilo nucleo familiare. E non può superare i 1.500 euro al mese di importo. Questi vincoli valgono per tutta la durata dell’anticipo. Significa che una volta giunti a 67 anni, con la domanda di pensione di vecchiaia, ciò che per anni è stato limitato come importo del trattamento, tornerà ad essere un diritto del pensionato. Al contrario dell’Ape sociale, Opzione Donna non può essere sostituita, una volta percepita, da un’altra forma di pensionamento.

Opzione Donna non può essere sostituita dopo averla presa

Opzione Donna impone alle lavoratrici di accettare un penalizzante calcolo della pensione. Infatti anche se hanno diritto al calcolo misto, devono accettare il calcolo contributivo. E questo significa un taglio che può arrivare a essere più alto addirittura del 30%.

Un taglio che le pensionate devono accettare come sacrificio sull’altare della pensione anticipata. Che parte già dai 58 anni, anche se da quest’anno i requisiti di Opzione Donna sono più stringenti, a partire dall’età passata a 60 anni. E questo taglio le lavoratrici se lo porteranno dietro per il resto della loro vita. La pensione con Opzione Donna, escludendo gli incrementi per il meccanismo annuale della perequazione, sarà quella percepita alla data di decorrenza per tutto il resto della vita della pensionata.

Limiti e penalizzazioni di pensione ma solo per determinati anni

Stesso discorso si può fare per la quota 103. E lo stesso è ciò che è accaduto a quanti hanno sfruttato la quota 100 o la quota 102. Misure che una volta percepite dal diretto interessato, sono irreversibili come struttura. Il nostro lettore se sceglie la quota 103, non potrà nel 2024, passare eventualmente ad una quota 41 per tutti in modo tale da non subire le penalizzazioni che invece ha quota 103. Ma sulla quota 103 le limitazioni sono a termine. Infatti l’importo massimo di pensione che si può prendere con la quota 103 di circa 2.818 euro lordi al mese, cessa di essere un vincolo a 67 anni di età.

Non esiste una vera flessibilità

Infatti anche in questo caso, più o meno come l’Ape sociale (anche se non c’è bisogno di una nuova domanda di pensione), a 67 anni l’INPS provvede al ricalcolo della pensione. E a chi tocca una pensione più alta di 2,5 volte il trattamento minimo, potrà effettivamente percepire l’importo esatto proprio dal compimento dei 67 anni di età. Il limite dei 2.818 euro circa al mese infatti viene meno a 67 anni. Come viene meno il divieto di cumulo dei redditi di lavoro con i redditi di pensione (altra limitazione di quota 103).