E’ una questione delicata, da tempo oggetto di polemiche e diatribe, ma che interessa tutti i contribuenti. Stiamo parlando dell’Iva sulla tassa sui rifiuti solidi urbani. Vediamo più da vicino di cosa stiamo parlando, con una breve disgressione normativa che permette di inquadrare al meglio il problema.

 

Tarsu Tia: origini e differenze

Innanzitutto è stato il decreto legislativo 22 1997 (Decreto Ronchi) a sopprimere la tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU), sostituendola con la tariffa di igiene ambientale (T.I.A.), affinché i comuni provvedano alla copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Se, infatti, in regime TARSU i comuni potevano scegliere di trasferire sul cittadino anche solo il 75% del costo, sfruttando altre leve di fiscalità generale per arrivare alla copertura totale,con la T.I.A. la corrispondenza tra le entrate e le uscite che il servizio di igiene urbana comporta è obbligatoria.

La tariffa integrata ambientale così come pensata nel decreto Ronchi, si commisura su:

  • la superficie dell’immobile
  • il numero delle persone (utenze domestiche)
  • la presunta produzione di rifiuti
  • la tipologia di attività commerciale/produttiva (utenze non domestiche)

 

A causare problemi però è stata l’applicazione alla tariffa in questione, dell’imposta sul valore aggiunto e quindi al suo inquadramento o meno come tributo.

 

Rimborso Iva Tia: la sentenza della Corte costituzionale

A pronunciarsi in merito è stata la Corte costituzionale, con la sentenza n. 238 del 2009. Con questa pronuncia, il giudice di legittimità ha stabilito che la Tia ha natura tributaria, e come tale si configura come un’imposta e non come il corrispettivo di un servizio e di conseguenza  non può essere soggetta all’Iva. A dispetto di quanto affermato quasi un anno prima, con la risoluzione n. 250/E del 2008, da parte dell’Agenzia delle Entrate che ha configurato la Tia alla stregua di un corrispettivo e come tale soggetto all’Iva, ma agevolata al 10 per cento, la Corte costituzionale segna una svolta importante.

Il giudice supremo che decide sulla legittimità o  meno delle leggi, che definisce le norme in contrasto con la carta fondamentale dei nostri diritti, la Costituzione, ha sancito che la Tia è un tributo e come tale non deve essere soggetto all’Iva. Una pioggia di rimborsi sono arrivati da parte di chi (tutti i contribuenti) hanno dovuto pagare per anni l’Iva sulla Tia, fondando le proprie pretese proprio sulla sentenza della Corte.

 

Iva rifiuti: i comuni fanno orecchie da mercante

Ma la maggior parte dei comuni, facendo orecchie da mercante, non hanno tenuto in considerazione alcuna la sentenza della Corte, continuando di fatto ad applicare l’imposta sul valore aggiunto alla Tia, respingendo così le richieste di rimborso dei cittadini. Il fondamento della pronuncia della Corte costituzionale si basa sulla considerazione per cui la Tia è un tributo il cui pagamento non è direttamente correlato alla quantità di rifiuti prodotti.

 

Tia 2: la scappatoia del governo 

Per ovviare a questo problema, il Governo non ci ha pensato su molto. Fatta la legge, trovato l’inganno, come si suol dire. E così il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia ambientale”, introduce la nuova tariffa integrata ambientale, detta Tia 2. L’articolo 238 del decreto in questione al primo comma ha definito questa tariffa come il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. E’ tenuto al pagamento della tariffa in questione chi possiede o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte ad uso privato o pubblico e la stessa tariffa deve essere applicata e riscossa dai soggetti a cui è affidato il servizio di gestione integrata. La tariffa inoltre si compone di due quote: una fissa e una variabile.

La prima è determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, mentre la seconda, la quota variabile, è rapportata alla quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, assicurando in tal modo la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di gestione.

Sottolineando che la sentenza della Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità del pagamento dell’Iva sulla Tia, la tariffa sotto esame della Corte in questo caso era quella introdotto dal decreto Ronchi, la Tia 1. La nuova Tia 2, così come pensata nel decreto del 2006, invece lega in modo diretto la quantità di rifiuti prodotti con la tariffa da pagare e la questione sul rimborso o meno dell’Iva non dovrebbe più ripresentarsi.

Corte costituzionale (cittadini) 0, Governo (comuni) 1.

 

Tia Iva: Ministro Economia e Finanze conferma obbligo pagamento

A sostenere che l’Iva sulla Tia vada pagata è stato anche il Ministero dell’economia e delle finanze, con una circolare dell’11 novembre 2010, la n. 3/DF con cui il Dicastero dell’economia ha cercato di risolvere le situazioni ambigue di quei comuni in cui non è avvenuto il passaggio dalla Tarsu alla Tia e l’avvento della Tia 2 causa ulteriori problemi di coordinamento. In quell’occasione, il Mef ha ribadito che l’Iva sulla Tia vada pagata, andando in senso nettamente contrario a quello espresso dalla Corte costituzionale.

 

Rimborso Iva rifiuti: i ricorsi alle Commissione tributarie

Una battaglia a ferro e fuoco che ha causato polemiche e arrabbiature varie, soprattutto dei contribuenti e delle associazioni dei consumatori, che forti della pronuncia del giudice di legittimità si sono comunque attivati per chiedere i rimborsi dinanzi alla commissioni tributarie provinciali. Ricorsi che in verità sono stati di numero abbastanza esiguo, proprio perché il ricorso dinanzi alle Commissioni tributarie appare di una certa artificiosità e poco utilizzato dai contribuenti.

 

Corte di Cassazione: sentenza n. 2064/2011

Fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione, la n. 2064 del 2011, con cui gli ermellini sciolgono tutti i dubbi in merito, prevedendo che i ricorsi per richiedere il rimborso per l’Iva pagata sulla Tia ( confermando l’indirizzo della Costituzione quindi) deve essere presentato non alla commissione tributaria provinciale ma al giudice di pace.

 

Ricorso tassa rifiuti: giudice di pace per una maggiore tutela del ricorrente

Una sentenza storica questa della Cassazione che non solo conferma che l’Iva sulla Tia è illegittima, ma anche agevola, per così dire, il diritto al rimborso del contribuente. Tutti gli utenti hanno diritto al rimborso del 10 % per i 5 anni retroattivi. Basta una semplice raccomandata con ricevuta di ritorno di messa in mora al gestore dei rifiuti, intimando il rimborso per gli ultimi 5 anni dell’imposta illecitamente pagata sui rifiuti (se ovviamente è stata pagata). Se la società rifiuta, ecco che il contribuente si può rivolgere al giudice di pace e se la causa ha valore inferiore a 512 euro, può anche non farsi assistere da un avvocato. E’ il giudice di pace che decide sul rimborso o meno dell’Iva pagata sui rifiuti, perché è una controversia di natura privatistica e non un rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria, come sottolinea la Cassazione con la sua storica sentenza. Al via la richiesta dei rimborsi allora. I contribuenti si diano da fare e bollette pagate alle mani, si rivolgano al giudice di pace o alle associazioni dei consumatori per chiedere i relativi rimborsi.