“La mente umana possiede dei meccanismi primitivi di autodifesa che negano tutte le realtà che causano al cervello uno stress eccessivo da sopportare. Si chiama negazione“, afferma Dan Brown. Accettare la realtà dei fatti, spesso, può risultare difficile. Per questo motivo molti decidono di negare, piuttosto che farsi andare bene qualcosa che non risulta di loro gradimento. La negazione, però, non riguarda solo un meccanismo di autodifesa mentale.

Tale concetto, infatti, può essere esteso agli ambiti più disparati, divenendo in alcuni casi motivo di contestazione.

Lo sanno bene i tanti contribuenti che pur avendo diritto, ad esempio, ad un rimborso fiscale, si sono visti negare la relativa erogazione. Una situazione indubbiamente poco piacevole, in cui è bene sapere come comportarsi per ottenere quanto ci spetta. Ecco come fare.

Rimborso fiscale dovuto ma negato: quali fatti deve presentare il contribuente

Nel caso in cui il Fisco rifiuti di effettuare un rimborso, il contribuente deve presentare delle prove concrete per opporsi a tale negazione. Entrando nei dettagli, come si legge su Fisco Oggi, la rivista online dell’Agenzia delle Entrate:

“Ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo ovvero del silenzio – rifiuto formatosi sull’Istanza, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (cfr. Cass. n. 1906 del 2020)”.

In base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, pertanto, è compito del contribuente dimostrare l’illegittimità del diniego. L’Amministrazione finanziaria, invece, non ha alcuno vincolo di fornire una specifica motivazione di rigetto.

Domanda di rimborso, il contribuente è parte sostanziale

Una sentenza, quella poc’anzi citata, che conferma la linea di pensiero già adottata in passato dalla Cassazione. Secondo quest’ultima spetta al contribuente allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nell’istanza. In presenza di una controversia su una domanda di rimborso fiscale, infatti, il contribuente ha il ruolo di attore non solo in senso formale ma anche sostanziale.

A tal proposito si annovera il caso di un contribuente che, in veste di erede di un soggetto titolare di reddito da lavoro dipendente, ha presentato istanza di rimborso dell’Irpef che era stata versata in eccedenza dalla persona defunta. L’ufficio finanziario non ha fornito risposta a tale istanza, facendo cosi valere il silenzio – rifiuto. Da qui la decisione del contribuente di fare ricorso alla Commissione tributaria provinciale di competenza, allegando l’istanza di rimborso. I giudici tributari di primo grado hanno accolto il ricorso presentato dal contribuente. L’Agenzia delle entrate ha quindi fatto ricorso di appello.

Il tutto contestando il fatto che la domanda facesse riferimento al rimborso di una somma di denaro di cui non era stato provato il preventivo versamento a titolo di imposta. Il giudice tributario di appello ha però dato nuovamente ragione all’erede. A stravolgere tutto ci ha pensato in seguito la Suprema Corte di cassazione, che ha bocciato la decisione della commissione tributaria regionale di non pronunciarsi sull’assenza di prova dei versamenti effettuati e chiesti a rimborso. In particolare i Supremi giudici hanno sottolineato come la Commissione tributaria regionale si sia limitata, nel caso in questione, a considerare solamente il profilo concernente la presentazione della domanda. Ha invece omesso ogni forma di esame volto a constatare l’effettiva fondatezza della richiesta di rimborso.