“Non v’è nulla di più difficile da realizzare, né di più incerto esito, né più pericoloso da gestire, che iniziare un nuovo ordine di cose. Perché il riformatore ha nemici tra tutti quelli che traggono profitto dal vecchio ordine, e solo dei tiepidi difensori in tutti quelli che dovrebbero trarre profitto dal nuovo“, affermava Niccolò Machiavelli.

Parole, quelle di Machiavelli, che sembrano accomunare tutti i Paesi del mondo. Ogniqualvolta un nuovo Governo si appresta a introdurre delle novità, infatti, non mancano le critiche.

Quest’ultime mosse in particolar modo da coloro che beneficiano in prima persona del mantenimento dello status quo delle cose.

Ne è un chiaro esempio il reddito di cittadinanza, di recente oggetto di modifiche da parte del Governo Meloni. Quest’ultimo ha deciso di abolire il sussidio targato Movimento 5 Stelle che, a breve, verrà sostituito da delle nuove misure. Ma quale sarà il destino di coloro che vedranno porre la parola fine a un contratto di lavoro a termine? Ecco cosa c’è da aspettarsi.

Riforma reddito di cittadinanza: cosa spetta a chi conclude un contratto a termine

Grazie al cosiddetto decreto 1° maggio, il governo ha deciso di introdurre delle misure volte a favorire l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro. Entrando nei dettagli, come si legge sul comunicato stampa numero 32 del Consiglio dei Ministri, vengono apportate delle modifiche anche ai contratti di lavoro a termine, ovvero quelli a tempo determinato. In particolare cambiano le:

causali che possono essere indicate nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi (comprese le proroghe e i rinnovi), per consentire un uso più flessibile di tale tipologia contrattuale, mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva europea sulla prevenzione degli abusi.

Pertanto, i contratti potranno avere durata superiore ai 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi:

  • nei casi previsti dai contratti collettivi;

  • per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2024;

  • per sostituire altri lavoratori”.

A dispetto di molte aspettative, però, il cosiddetto decreto lavoro non prevede alcuna indennità nel caso in cui il contratto a termine non sia rinnovato.

Tale possibilità, infatti, non trova menzione nella bozza del decreto. L’unica eccezione è rappresentata dalle attività stagionali, per cui è prevista una misura una tantum a titolo di welfare dal valore pari a 500 euro. Un contributo che dovrebbe essere corrisposto se, una volta giunto al termine, il contratto di lavoro a tempo determinato non si trasforma a tempo indeterminato.