Sicuramente è l’argomento del momento, perché la riforma delle pensioni continua a destare interesse. E sicuramente è la materia dove dare risposte certe è la cosa più difficile che c’è. Sono talmente tante le proposte, le ipotesi e le idee sul tavolo, che le attese dei lavoratori sono fomentate. E sono molti i lettori che ci chiedono come sarà la nuova riforma delle pensioni che varerà il Governo. Molti si attendono novità già nel 2024 (difficile però), altri guardano più in avanti nel tempo, alla fine della legislatura.

Fatto sta che oggi analizziamo alcune delle proposte di riforma più in voga, cercando di rispondere a domande del tipo:

Si farà la quota 41 per tutti? Tornerà in vigore la quota 96? Come sarà possibile andare in pensione con la nuova flessibilità che vogliono i sindacati e con quella che a suo tempo propose Pasquale Tridico? Oppure, che fine ha fatto il DDL 857 di Cesare Damiano?

Riforma delle pensioni, una per una le ipotesi e qual è la più conveniente da quota 96 ai 62 anni con anticipo parziale

Quelli sopra sono solo alcuni dei quesiti in sintesi che arrivano quotidianamente alla nostra redazione. E, come è evidente, sono dettati dai tanti progetti di riforma delle pensioni che a giorni alterni compaiono sui media e sui giornali. A oggi, nessuna certezza se non quella che nel 2024 poco accadrà. Se non la conferma di un paio di misure che anziché scadere nel 2023, scadranno nel 2024. Una proroga di misure oggi in vigore che scadono il 31 dicembre 2023, che sa molto di una tattica che serve a prendere tempo. Per posticipare l’eventuale varo della vera riforma al 2025 o anche oltre. Intanto la misura che come sempre è al centro di ogni dibattito sulle pensioni e di ogni incontro tra Governo e sindacati è la quota 41 per tutti.

La misura che ha nella Lega, e forse nei sindacati, i maggiori sponsor, nel 2024 difficilmente verrà varata.

Ma se ne parla, e questo amplifica le attese. E a dire il vero, rispetto a tutte le altre misure di cui si parla, forse è la più indicata per limare i requisiti pesanti che la riforma Fornero ha lasciato ancora oggi in vigore.

La quota 41 per tutti, cos’è e come funziona

La quota 41 sarebbe una sorta di anticipo dell’anticipo, perché andrebbe a creare per tutti e non solo per precoci (invalidi, caregivers, gravosi e disoccupati), la possibilità di anticipare di circa due anni la quiescenza. Perché lascerebbe il lavoro e centrerebbe la pensione il lavoratore che completa semplicemente i 41 anni di contributi versati. Senza vincoli di età, senza differenze di platea e senza limiti a determinate categorie come oggi funziona la quota 41 per i precoci.

Ma come è evidente, parliamo pur sempre di una misura che ha ben 41 anni di contributi da completare. E quindi, una misura che si rivolge a lavoratori che hanno avuto carriere continue e durature, soprattutto uomini, lavoratori statali e con evidenti penalizzazioni per le donne o i discontinui in genere (stagionali, edili, agricoli e così via dicendo). Ecco perché forse da sola, la quota 41 non basterebbe.

La quota 96

Leggermente meglio, anche se si tratta di una misura che ha 35 anni di contribuzione minima, è la quota 96. Sarebbe una riproposizione della vecchia misura che funzionava prima del varo della legge Fornero. Anzi, fu proprio la riforma di quel governo Monti/Fornero (l’uno il Premier, l’altra la Ministra del lavoro) a cancellare la quota 96 come cancellò le pensioni di anzianità, sostituendole con le attuali anticipate. Che come tutti sanno, si centrano con 42 anni e 10 mesi se il richiedente è uomo e 41 anni e 10 mesi se la richiedente è donna. Con la quota 96, a partire dai 60 anni di età e dai 35 anni di contributi, completando 96 sommando contributi ed età (valide anche le frazioni di anno), la pensione sarebbe possibile.

Riforma pensioni: a 62 anni con la flessibilità, differenze tra sindacati, Tridico e Damiano

In pista ci sarebbe anche una pensione flessibile a 62 anni di età, stavolta con una carriera minima di 20 anni che poi è l’attuale soglia contributiva delle pensioni di vecchiaia. In pensione con 62 anni e 20 di contributi, come alternativa flessibile alla pensione di vecchiaia ordinaria con 67 anni di età e 20 anni di versamenti. Ma sono tre le ipotesi che parlano di una pensione con questi limiti e requisiti. Una è quella che vorrebbero i sindacati. Senza penalizzazioni per i lavoratori oltre quelle inevitabili per via dei coefficienti di trasformazione che peggiorano il calcolo della pensione quanto più giovani si esce dal lavoro.

Il Governo però deve badare anche alle casse pubbliche. Ed ecco che ogni nuova misura deve avere per forza delle penalizzazioni che le rendono meno appetibili alla massa. Perché ridurre la platea di chi sceglie l’anticipo serve allo Stato per risparmiare soldi nonostante l’inserimento di una misura di pensionamento anticipato. E le differenze tra la proposta dei sindacati e quelle alternative di Pasquale Tridico o di Cesare Damiano (di diversi anni fa), sono marcate, anche se partono sempre da 62 anni di età.

Pensione a 62 anni, penalizzazioni a termine o tagli perenni

Una vecchia proposta di Cesare Damiano prevedeva la pensione a 62 (o a 63 anni) con tagli lineari di assegno. Tagli per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile vigente. Una vera alternativa al ricalcolo contributivo della pensione. Perché quest’ultimo taglia lo stesso gli assegni, ma in misura proporzionale al numero di anni di contributi versati nel sistema retributivo (prima del 1996). Secondo la proposta di pensione flessibile contenuta nel DDL 857 (firmatari Damiano, Baretta e Gnecchi, tutti Parlamentari PD dell’epoca), il taglio doveva essere tra il 2,5% e il 3% annuo. Uscire a 62 anni quindi sarebbe possibile, ma perdendo anche il 15% di pensione.

Secondo la via flessibile di Pasquale Tridico, proposta fatta quando era diventato Presidente dell’INPS, la pensione a 62 anni con 20 anni di contributi doveva partire dal penalizzante calcolo contributivo. Ma la liquidazione della pensione così penalizzata dovrebbe valere, secondo la proposta, fino a 67 anni. Al compimento dell’età pensionabile infatti, la pensione verrebbe di nuovo liquidata, stavolta con l’aggiunta della parte retributiva prima omessa. Una penalizzazione temporanea, quindi.