Il 2024 è ormai entrato e per le pensioni le misure che consentono il pensionamento sono rimaste praticamente le stesse del 2023. Almeno numericamente, perché tutte e 3 le misure confermate nella legge di Bilancio sono state modificate sensibilmente. Comunque, nessuna novità è stata introdotta se per novità si intendono nuove misure e una riforma strutturale del sistema. Una riforma che comunque dovrebbe fare capolino entro la fine della legislatura.

Ma che riforma sarà? La domanda è comune a tanti lavoratori, come il nostro lettore che leggendo i notiziari, scopre che probabilmente si parla di contributivo per tutti.

Un termine da approfondire e che anticipiamo, riguarda i pensionamenti anticipati e non quelli di vecchiaia.

“Buonasera, sono Diego, vivo a Napoli ed ho 65 anni di età. Ho 23 anni di contributi e come logica vuole non essendo invalido, andrò in pensione nel 2026 a 67 anni di età. Ma ho sentito che la riforma delle pensioni sarà contributiva. E se non erro questo metodo di calcolo mi darà una pensione ancora più bassa di quella misera che credo di prendere per via di pochi anni di contributi. La notizia è vera? Se è così è davvero un’assurdità cambiare le regole in corso per chi a due anni di distanza dall’età giusta per la pensione non può fare altro che aspettare gli eventi. Grazie mille per la vostra attenzione. Attendo con impazienza il vostro giudizio.”

Riforma pensioni 2025 con il contributivo per tutti, cosa significa?

Come detto in premessa, nessuna novità nel 2024, anche se le tre misure presenti nel pacchetto pensioni della legge di Bilancio sono state si prorogate, ma anche peggiorate. Infatti l’opzione donna è rimasta identica allo scorso anno solo per quanto riguarda le regole di calcolo della pensione, la platea di riferimento (piuttosto ristretta, nda) e la data entro cui maturare i requisiti (il 31 dicembre dell’anno precedente).

Per il resto, contributi pari a 35 anni ed età che sale da 60 a 61 anni.

Anche l’Ape sociale ha visto inasprirsi il requisito anagrafico passato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Con in più il divieto di cumulo dei redditi da lavoro con i redditi da pensione come per la Quota 103.

E anche quest’ultima misura è stata cambiata, non come requisiti che sono rimasti sempre i 62 anni di età ed i 41 anni di contributi, ma come calcolo della prestazione che diventa contributivo. Ma è proprio questo cambio che probabilmente diventerà la costante dei prossimi interventi previdenziali del Governo.

Una riforma contributiva delle pensioni, ecco cosa aspetta i futuri pensionati

Il fattore principale sono sempre le risorse a disposizione dello Stato. Infatti la spesa previdenziale è da contenere. Lo sostiene anche la UE ogni qualvolta si parla di riformare il sistema italiano. Anche la riforma Fornero nacque per contenere la spesa pubblica che per quanto riguarda l’INPS però, tira dentro anche le prestazioni assistenziali che sono un vero fardello. Inevitabile quindi pensare a una riforma low cost per le casse statali.

La Premier Meloni ha detto che la riforma delle pensioni si farà, ma sarà ponderata. In termini pratici, serve prima di tutto altro tempo, e poi serve introdurre misure che diano vantaggi in termini di uscita dal lavoro, ma anche in termini di costo per lo Stato. Un discorso vasto, tanti giri di parole, che portano in una direzione precisa. E sarebbe il calcolo contributivo delle prestazioni.

Il sistema di calcolo contributivo, tra penalizzazioni ed equità

Nel 1996 entrò in vigore il sistema contributivo, con le pensioni calcolate sul montante dei contributi versati da un lavoratore e non più sulle sue ultime buste paga. Un sistema potenziato con l’avvento della riforma Fornero, che, a ragione, lo reputò più equo. Un lavoratore in pensione prende soldi in base a ciò che ha versato e non in base alle ultime buste paga.

Fu sconfitta la prassi che voleva scatti di carriera e incrementi retributivi creati ad hoc per consentire negli ultimi anni di carriera, retribuzioni elevate per prendere pensioni altrettanto elevate. Un sistema più equo quindi, ma anche penalizzante per i pensionati. Oggi si dice che per chi ha iniziato la carriera prima del 1996 e ha 18 o più anni di contributi a quella data, il sistema contributivo erode anche oltre il 30% della pensione spettante.

Ed effettivamente una pensione calcolata sui versamenti effettuati è inferiore a quella calcolata con il sistema retributivo. A maggior ragione se si pensa che chi una carriera di 18 anni di contributi chiusi già il 31 dicembre 1995, ha diritto al calcolo retributivo per i periodi fino al 31 dicembre 2012.

Le nuove misure in arrivo, pensioni contributive, ma solo le anticipate

Quindi, a partire dalla quota 41 per tutti di matrice leghista, ogni misura a cui si dovrà appigliare un lavoratore per uscire dal lavoro prima, sarà probabilmente con il sistema contributivo. Oggi per esempio abbiamo già Opzione Donna e Quota 103 che prevedono questo calcolo. Restano neutre da calcolo contributivo solo la quota 41 per i precoci e le pensioni anticipate ordinarie. Ma ipotizzare che pure la pensione con 42 anni e 10 mesi di oggi diventerà contributiva, non è esercizio azzardato.

Probabilmente solo la pensione di vecchiaia resterà con calcolo misto. Difficile che anche la principale misura del sistema, passi a un calcolo penalizzante della prestazione. A dire il vero questa modifica tra qualche anno non avrà nemmeno modo di esistere, dal momento che saranno sempre meno i non ancora pensionati che hanno carriere iniziate prima del 1996.

Infatti per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, a prescindere da ciò che farà o non farà il governo, la pensione si calcola inevitabilmente con il sistema contributivo. Le nostre sono solo ipotesi naturalmente, perché parliamo di una riforma delle pensioni ancora da varare.