A breve aprirò la partita iva in regime forfettario. Venderò, on line tramite market place, alcuni articoli che produco direttamente da me. Nello specifico mi occupato della realizzazione di portachiavi personalizzati sui quali è riprodotto il marchio delle varie case automobilistiche. Al di là del prodotto in sé, quali sono gli adempimenti fiscali di cui dovrò tenere conto sia nei rapporti con i privati, B2C, sia con le altre imprese, B2B?

Nello specifico, aderito al regime forfettario come devo fatturare nei confronti degli uni o degli altri soggetti citati? Con o senza Iva?

Il regime forfettario e l’e-commerce: regole generali

Prima di passare alla disamina degli obblighi di certificazione fiscale cui è tenuto il contribuente che ha aderito al regime forfettario nelle operazioni di e-commerce, è bene precisare fin da subito la distinzione tra commercio elettronico diretto e indiretto.

Il commercio elettronico diretto si caratterizza per il fatto che la transazione così come la consegna si perfezionano on line. Si tratta di cessione di beni digitali immateriali ossia software, libri eletrronici, ticket, musica ecc. Non vi è un passaggio fisico della merce.

Al contrario, si parla di commercio elettronico indiretto in riferimento ad operazioni di vendita di beni materiali in cui “la transazione commerciale avviene in via telematica ma il cliente riceve la consegna fisica della merce a domicilio secondo i canali tradizionali, ossia tramite vettore o spedizioniere (cfr. risoluzione 21 luglio 2008, n. 312/E, risoluzione 15 novembre 2004, n. 133/E)”.

Ai fini iva, le operazioni di commercio elettronico indiretto sono assimilabili alle vendite per corrispondenza.

Da qui, per le operazioni citate:

  1. non vi è obbligo dell’emissione della fattura (se non richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione), come previsto dall’articolo 22 del d.P.R. n. 633 del 1972,
  2. né l’obbligo di certificazione mediante emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale ai sensi dell’articolo 2, lettera oo), del d.
    P.R. 21 dicembre 1996, n. 696.

Attenzione, i corrispettivi delle vendite devono essere annotate essere annotati nel registro dei corrispettivi previsto dall’articolo 24 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Detto ciò, è corretto parlare ancora di registro dei corrispettivi perché, per le vendite per corrispondenze, è possibile bypassare l’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi.

Operazioni per le quali, l’articolo 2, lettera oo), del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696, dispone un esonero da qualunque obbligo di certificazione, salvo l’obbligo di emissione della fattura se richiesta dal cliente.

Infatti, come da interpello n°189/2019: i corrispettivi derivanti dal commercio elettronico continuano ad essere esonerati dall’obbligo di invio telematico dei corrispettivi mentre devono essere annotati nel registro previsto dall’articolo 24 del d.P.R. n. 633 del 1973, ferma l’istituzione, insieme allo stesso, di quello di cui al precedente articolo 23 per le fatture eventualmente emesse”.

L’e-commerce nei rapporti con i soggetti residenti

In base a quanto detto finora, per le operazioni “italiane”, il titolare di regime forfettario che fa commercio elettronico indiretto, non sarà tenuto ad emettere alcuna fattura ma annoterà l’operazione nel registro dei corrispettivi.

Diverso è il discorso se le operazioni effettuate riguardano soggetti residenti fuori dal territorio italiano.

L’e-commerce nei rapporti con l’estero

La disciplina delle operazioni di e-commerce indiretto nei rapporti con soggetti residenti fuori dal territorio nazionale è regolata dal D.L. 331/1993, all’art.41.

Nello specifico è disposto che, ai fini Iva, non sono cessioni imponibili in Italia:

le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni diversi da quelli soggetti ad accisa, spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari ivi non tenuti ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari e che non hanno optato per l’applicazione della stessa.

Da qui, nei confronti del consumatore finale comunitario (B2C), sarà tenuto ad emettere fattura senza Iva. Con obbligo di identificazione o di nomina di un rappresentante fiscale nel paese di destinazione del bene. Con obbligo di versamento dell’Iva dello stato di destinazione.

Attenzione, l’operazione sarà imponibile in Italia:

  • se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro,
  • ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato a norma dell’articolo 34 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (da 35.000 euro in su).

Il riferimento è alle c.d. soglie di protezione.

Se l’operazione è effettua nei confronti di un soggetto passivo comunitario (B2B), la fattura sarà emessa senza Iva (in reverse charge).

Cosa cambia dal 1° luglio 2021?

A partire dal 1° luglio 2021, in riferimento alle operazioni di e-commerce B2C entreranno in vigore delle disposizioni di semplificazioni.

A tal proposito, con la direttiva 2017/2455/UE è stata introdotta una soglia a livello comunitario, pari a 10.000 euro. Soglia entro la quale le prestazioni di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e di quelli resi per via elettronica forniti in Stati membri diversi dallo Stato membro di stabilimento del cedente sono imponibili ai fini IVA in quest’ultimo Stato membro. Ciò avviene  in deroga ai criteri di territorialità previsti in via generale per le predette prestazioni, laddove rese nei confronti di committenti non soggetti passivi (B2C).

In sintesi, nei rapporti B2C:

  • fino a 10.000 euro l’Iva si applica nel paese del cedente;
  • superato tale importo (acquisti totali effettuati da persone fisiche di uno stato membro), si applicano le regole generali con obbligo di aprire una posizione iva nello stato membro.

La disciplina applicabile dal 1° luglio 2021 riguarda le seguenti operazioni: le vendite a distanza intracomunitarie di beni (articolo 14, paragrafo 4, comma l, e articolo 14-bis, paragrafo 2, della direttiva IVA); le vendite a distanza di merci importate da territori terzi o Paesi terzi (articolo 14, paragrafo 4, comma 2, e articolo 14-bis, paragrafo l, della direttiva IVA); le cessioni domestiche di beni da parte di soggetti passivi non stabiliti all’interno dell’Unione europea a non soggetti passivi, facilitate tramite l’uso interfacce elettroniche (articolo 14-bis, paragrafo 2, della direttiva IVA); le forniture di servizi a non soggetti passivi da parte di soggetti passivi non stabiliti all’interno dell’Unione europea o di soggetti passivi stabiliti all’interno dell’Unione europea, ma non nello Stato membro di consumo.

L’opzione per il MOSS

Detto ciò, al superamento della suddetta soglia di 10.000 euro, il soggetto passivo potrà decidere di optare per il regime MOSS. In tal modo evita di doversi identificare presso ogni Stato membro di consumo per effettuare gli adempimenti richiesti (dichiarazione e versamento dell’IVA), mentre trasmette telematicamente le dichiarazioni IVA trimestrali ed effettua i versamenti, attraverso un apposito portale elettronico, esclusivamente nel proprio Stato membro di identificazione, limitatamente alle operazioni rese a consumatori finali residenti o domiciliati in altri Stati membri di consumo. Le dichiarazioni e i versamenti così acquisiti dallo Stato membro di identificazione sono quindi trasmesse ai rispettivi Stati membri di consumo mediante una rete di comunicazione sicura. In Italia il portale elettronico MOSS è gestito dall’Agenzia delle entrate.

Si veda a tal proposito il dossier Camera Senato sulle novità “prestazioni di servizi e vendite a distanza di beni“.