In caso di accertamento fiscale di quanti anni può andare indietro l’Inps? Come canta Tiziano Ferro con il brano Indietro: “Quell’attitudine di chi ricorda tutto, ma se guardo, lo vedo, il mondo va veloce e tu vai indietro. Se cerchi, mi vedi, il bene più segreto sfugge all’uomo che non guarda avanti, mai”.

Tanti sono i cambiamenti con cui dobbiamo fare i conti nel corso del tempo. Alcuni avvenimenti del passato segnano indelebilmente le nostre esistenze e hanno delle ripercussioni anche nel presente.

Altri, invece, finiscono nel dimenticatoio. Proprio come accade con alcuni adempimenti fiscali che trascorso un determinato lasso temporale decadono o vanno in prescrizione.

Quanti anni indietro può andare l’Inps in caso di accertamento fiscale

Come sottolineato sul sito dell’Istituto di previdenza, i termini prescrizione e decadenza sono due istituti importanti per l’ordinamento giuridico del nostro Paese. “Entrambi collegati al decorso del tempo“, viene spiegato che in caso di accertamento Inps la prescrizione comporta l’estinzione del diritto per il suo mancato esercizio in un determinato lasso di tempo e può essere soggetto a interruzione.

Stando alla legge, infatti, ogni diritto può essere esercitato entro un periodo di tempo ben definito. Decorso quest’ultimo, il diritto si estingue, ai sensi dell’art. 2934 c.c. e seguenti. Con il termine decadenza, invece, si fa riferimento

“alla perdita della possibilità di esercitare un diritto per il suo mancato esercizio entro un termine perentorio, indipendentemente dall’inerzia o dalle condizioni soggettive del titolare del diritto stesso: ciò che rileva è il mero decorso del tempo (art. 2964 c.c. e ss.)”.

La prescrizione per le prestazioni erogate dall’Inps avviene in genere trascorsi cinque anni, ferme restando le eventuali eccezioni stabilite dalla legge che possono andare a modificare tali tempistiche.

Gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e gli effetti sul sistema previdenziale

I dati che i contribuenti denunciano con la dichiarazione dei redditi non finiscono solo sotto la lente di ingrandimento dell’Agenzia delle Entrate, ma anche dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Questo perché, nel caso in cui un soggetto dichiari un reddito inferiore rispetto a quanto realmente ottenuto, dovrà provvedere alla restituzione sia delle imposte che dei contributi previdenziali calcolati sulle somme non dichiarate. A tal proposito, come spiegato sempre dall’Inps attraverso la circolare numero 140, datata 2 agosto 2016:

“Con riferimento alle tipologie di accertamento che influiscono sulla contribuzione previdenziale – mentre per i controlli automatici e formali ex artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600/73, in assenza di chiarimenti o di regolarizzazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria provvederà all’iscrizione a ruolo delle somme alla stessa spettanti – per le altre forme di accertamento (Accertamenti parziali ex art. 41 bis del DPR n. 600/73, Studi di settore e parametri, Accertamenti unificati) è possibile definire la pretesa tributaria

  • in fase precontenziosa attraverso le seguenti procedure di adesione:
    • Reclamo/Mediazione;
    • Accertamento con adesione;
    • Acquiescenza.
  • in fase contenziosa, attraverso:
    • il Tentativo di Conciliazione giudiziale;
    • la Chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti”.

In cado di dubbi, comunque, si invita a rivolgersi a un esperto del settore o direttamente all’Inps per ottenere delucidazioni in merito.