Ci siamo appena lasciati alle spalle panettoni e IMU di dicembre e ce li ritroviamo ad aspettarci a gennaio 2023: gli avanzi del panettone e le nuove scadenze fiscali! Ed entrambi potrebbero farci venire il mal di pancia se non stiamo attenti a gestirli bene! Vediamo meglio perché le tasse potrebbero risultare indigeste il prossimo anno più di quelle che abbiamo pagato nel 2022, anche senza aumenti diretti all’orizzonte.

La prima buona notizia in effetti è che non stati previsti aumenti per le tasse il prossimo anno.

Indubbiamente è un buon segnale se vogliamo leggere le intenzioni: non ci sarà un inasprimento della pressione fiscale. Il che è anche in linea con la nuova rottamazione e con l’idea di rimodulazione degli scaglioni Irpef (che passerebbero da quattro a tre). Un Fisco più amico insomma. Ma a conti fatti sarà davvero così? Purtroppo conviene frenare gli entusiasmi.

Questa infatti è una buona notizia solo in apparenza. Ci sono (almeno) due ragioni per cui pagheremo di più anche senza aumenti ufficiali da parte del nuovo Governo in carica. In altre parole due motivi che di fatto rischiano di annullare anche le buone intenzioni della riforma fiscale.

La “magia” delle tasse che aumentano pur restando uguali

Il primo grosso problema riguarda l’aumento dei prezzi in generale. L’inflazione ha pesantemente colpito il potere di acquisto di stipendi e pensioni. Il che, in termini di scadenze fiscali, significa che pagare la rata IMU o del bollo auto, anche qualora queste restassero uguali, diventerebbe più oneroso. “Se potessi avere mille lire al mese” cantava Gilberto Mazzi nel 1939: ecco ai giorni d’oggi per avere l’equivalente dovremmo forse sostituire nel testo “mille euro”. Questo è il potere d’acquisto spiegato in maniera musicale. Anche se non suona come una sinfonia piacevole!

Un effetto degno del migliore illusionista. Solo che a farne le spese, come sempre, sono i contribuenti.

Quindi casomai dovremmo parlare di magia verde, quelle delle tasche!

Gli aumenti indiretti: non chiamatele tasse ma le pagate comunque!

Secondo aspetto da considerare e non trascurabile: se le tasse più odiate (bollo auto, canone RAI ma anche IVA, IMU, Tasi e Tari) restano invariate, lo stesso non può dirsi per alcuni beni di consumo legati ad accise specifiche. Uno su tutti: le sigarette. Già è stato deciso e confermato un aumento delle accise sul tabacco e a pagarlo non sarò di certo chi produce, ma chi fuma. “Si tassa il vizio” potrebbe pensare chi non fuma, ma attenzione! Non è escluso che la stessa strategia sarà attuata su altri beni che, fino a oggi, hanno goduto di canali fiscali preferenziali. Pensiamo, ad esempio, alle auto ibride ed elettriche.

Staremo a vedere quali saranno le prossime mosse del Governo Meloni, non solo per quanto riguarda la riforma fiscale in senso stretto ma anche per questi effetti collaterali.