La linea di demarcazione del sistema pensioni italiano non è il 2012, che è l’anno di entrata in vigore della riforma Fornero. Anche se fondamentale per il sistema pensionistico italiano, il 2012 non è importante come il 1996, anno che ha segnato l’entrata in vigore della riforma Dini e del sistema contributivo. Da quel momento le pensioni, i lavoratori, i calcoli degli assegni e i requisiti per le misure sono diventati diversi tra chi ha iniziato a lavorare prima e chi dopo il 1996. E le differenze sono notevoli, a tal punto che molti lavoratori si trovano spiazzati da normative che a volte sono poco pubblicizzate.

“Salve, sono stato riconosciuto invalido dall’INPS in misura pari all’80% e credevo di poter andare in pensione con la vecchiaia anticipata con invalidità specifica. Dovevano bastare 20 anni di contributi e 61 anni di età. Io ne ho oltre 25 e ho 63 anni. Ma l’INPS mi dice che non ho diritto perché mi manca l’anzianità prima del 1996. Che significa?”

Pensioni, tutti i limiti per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996: lasciare il lavoro è più difficile

Quello del lettore è solo uno dei tanti casi in cui un lavoratore che ha iniziato la carriera dopo il 1995, può essere considerato penalizzato. Perché i contributivi puri, pur avendo alcune misura di favore, possono senza dubbio essere considerati dei penalizzati dalle regole del sistema. Per esempio la pensione che il nostro lettore pensava di poter prendere, non gli spetta proprio. E questo perché ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. E, in quanto contributivo puro, la pensione di vecchiaia con invalidità pensionabile non spetta.

In pratica, per il solo fatto di non avere contributi prima del 1996, questa favorevole misura non può essere usata. E si perde il diritto ad uscire a 56 anni per le donne o a 61 anni per gli uomini, con solo 20 anni di contributi e l’80% di invalidità specifica.

Anche la pensione di vecchiaia è penalizzata per i contributivi puri

Perfino la classica pensione di vecchiaia vede i contributivi puri penalizzati in maniera piuttosto evidente. Infatti se per la generalità dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1996, con 20 anni di contributi e 67 anni di età, la pensione di vecchiaia è sempre concessa, per i contributivi puri non è così. Oltre che arrivare a completare i 67 anni di età ed i 20 anni di contributi, serve pure che la pensione liquidata sia pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, cioè circa 750 euro al mese. Se non si centra questo importo, la pensione slitterebbe a 71 anni.

Niente maggiorazioni e integrazioni al trattamento minimo e niente quota 41 per i precoci

Un altro limite per i contributivi per esempio è il fatto che la quota 41 non spetta a chi non ha iniziato a lavorare dopo il 1995. Ma se per i requisiti gli svantaggi sono questi, a tal punto da negare delle prestazioni per il solo fatto di essere un contributivo puro, anche i calcoli degli assegni penalizzano. Perché è noto a tutti che una pensione calcolata con il sistema retributivo è più vantaggiosa di una calcolata con il contributivo. E questo vale anche per chi ha una pensione mista, calcolata in parte con l’uno ed in parte con l’altro sistema.

Ma ciò che bisogna sottolineare è che le pensioni contributive non danno diritto, se di importo basso, alle cifre aggiuntive. Importi che invece spettano alle pensioni basse, ma retributive o miste. Parliamo delle maggiorazioni sociali e dell’integrazione al trattamento minimo.