Varare una riforma delle pensioni che anticipi le uscite dei lavoratori, magari consentendo il pensionamento con 41 anni di contributi per tutti. Oppure dando la possibilità di scegliere al pensionato che raggiunge almeno 62 anni di età e 20 anni di contributi. Sono le due cose che molti chiedono alla riforma delle pensioni perché c’è da superare la legge Fornero. Pochi però considerano un aspetto fondamentale che è anche il principale problema del sistema pensionistico.

Le pensioni si allontanano sempre di più dagli italiani.

E questo non dipende dalla legge Fornero e non dipende nemmeno dall’aspettativa di vita. Tutto nasce dal modo con cui funziona questo nostro sistema previdenziale perché le pensioni si allontanano in maniera fisiologica dalla popolazione. Si allontanano in maniera automatica a prescindere da leggi applicate o aumento della vita media della popolazione.

Niente pensioni se sono di importo basso, ecco perché nel sistema contributivo è così

Rispondendo a un quesito di un nostro lettore, che rischia di dover attendere i 71 anni per la pensione, ecco una particolare analisi su quello che ormai succede nel sistema pensioni nostrano e cosa accadrà ben presto.

“Buonasera, volevo da parte vostra la conferma di quello che il mio Patronato mi ha detto già. Cioè che non potrò andare in pensione come gli altri a 67 anni di età. Non avendo contributi prima del 1996 quando arriverò a 64 anni di età nel 2025, non riuscirò ad andare in pensione anticipata. Perché avrò solo 20 anni di contributi e non arriverò a prendere una pensione pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Ma mi dicono che non riuscirò nemmeno a prendere la pensione di vecchiaia nel 2028. Perché a 67 anni di età, per via di periodi pregressi di lavoro coperti da contributi scarsi come valore, non arriverò nemmeno con 23 anni di contributi a prendere una pensione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale.

In pratica non ho alternative a lavorare fino a 71 anni.”

Presto tutti in pensione solo dopo i 70 anni e nessuno mette in luce il problema principale del nostro sistema

Ciò che dice il lettore e ciò che gli ha detto il Patronato è la pura realtà che nasce dal fatto che siamo entrati da tempo nel sistema contributivo. Dal 1996 con la riforma delle pensioni di Lamberto Dini è entrato in vigore il sistema che calcola i trattamenti in base ai contributi versati. Prima di questa riforma le pensioni erano calcolate in base alle ultime retribuzioni.

Ma con la riforma delle pensioni del 1996 non sono cambiati solo i meccanismi di calcolo degli assegni, perché sono entrate in vigore anche alcune particolari novità per quanto riguarda il diritto ad andare in quiescenza dei lavoratori. Particolarità che la riforma Fornero nel 2012 ha accentuato e i cui effetti si sentono nettamente ancora oggi. Infatti le pensioni contributive hanno un ulteriore requisito da centrare già solo per maturare il diritto a lasciare il lavoro.

Si tratta infatti del requisito dell’importo della pensione che necessariamente devono raggiungere i lavoratori per poter andare in pensione anche solo con la quiescenza di vecchiaia a 67 anni di età. Va detto anche che le pensioni contributive non prevedono maggiorazioni sociali e integrazione al trattamento minimo, il che rende le pensioni sempre più basse come importo. In pratica la pensione viene presa soltanto per quello che si è riusciti a versare durante la carriera.

I vincoli di importo dei trattamenti e come funzionano

La pensione anticipata contributiva è una misura destinata solo a chi è iniziato a versare contributi dopo il 1995. Si può uscire con questa misura a 64 anni di età. Ma anche se si prende solo con 20 anni di contributi versati, non viene assegnata al lavoratore se non in un caso.

Solo se si raggiunge un importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Se consideriamo che l’assegno sociale del 2023 è pari a 503,27 euro al mese, la pensione anticipata contributiva si prende solo se è pari o superiore a circa 1.410 euro al mese. Stesso discorso per la pensione di vecchiaia ordinaria a 67 anni di età. Prestazione che non si prende se non è superiore a 750 euro al mese circa, cioè pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale.

Per questo molti lavoratori che rientrano nel pieno del sistema contributivo non possono lasciare il lavoro se non a 71 anni di età. Infatti solo a quest’età viene meno il vincolo dell’importo della pensione. E solo a questa età si può uscire dal lavoro anche con solo cinque anni di contributi versati.

Il futuro delle pensioni dice 71 anni e oltre per andare in quiescenza

Noi da tempo sosteniamo che il futuro delle pensioni dice che l’età di uscita sarà a 71 anni o anche oltre. In effetti non si può dire il contrario. L’analisi parte dal fatto che man mano che passano gli anni sono sempre meno i lavoratori che possono vantare una carriera mista. Parliamo di carriera iniziata nei retributivo e proseguita nel contributivo. In sostanza diventano sempre di più i soggetti che possono essere considerati contributivi puri avendo iniziato a lavorare dopo il 1995. Quella che possiamo definire fase di transizione tra il retributivo e il contributivo, che oggi consente di poter andare in pensione con il sistema misto, sta man mano che passano gli anni sparendo.

L’aspetto che pochi considerano è il fatto che l’inflazione e l’aumento del costo della vita, producono un incremento dei trattamenti previdenziali e assistenziali da parte dell’INPS. Ma se da un certo punto di vista questa cosa è positiva perché di fatto aumentano i soldi che finiscono in tasca ai pensionati, per chi in pensione ci deve ancora andare questo può essere un problema. Perché per esempio salirà anche l’assegno sociale nei prossimi anni.

E se l’inflazione continua ad essere così elevata, salendo l’assegno sociale si correrà il rischio che le soglie utili per raggiungere i trattamenti sia di vecchiaia che anticipate nel sistema contributivo diventeranno sempre più stringenti.