Il calcolo della pensione è un argomento molto popolare, così come lo è quello relativo ai requisiti per andare in pensione. Dal 1° gennaio 1996 è entrato in vigore il calcolo contributivo della prestazione. Prima vigeva il calcolo retributivo e basta. In una specie di fase di transizione tra due vere e proprie epoche in materia di sistema pensionistico, oggi le pensioni nella maggior parte dei casi sono calcolate con il sistema misto. Regole, vincoli, calcoli e sfaccettature che producono diversi dubbi per chi sta programmando la pensione futura.

Ecco che si rendono necessari gli opportuni chiarimenti, partendo da tutti i suggerimenti per prendere una pensione più alta sfruttando gli ultimi anni di lavoro.

“Salve, sono un lavoratore che dovrebbe andare in pensione nel 2026 sfruttando i 42 anni e 10 mesi di contributi. Ricordo che quando andò in pensione mio padre, l’azienda per cui lavorava, in accordo con lui, lo fece diventare responsabile di stabilimento con stipendio degli ultimi 2 anni di carriera quasi raddoppiato che gli valsero 250 euro al mese in più di pensione. Oggi mi dicono che con il sistema contributivo un eventuale mio scatto di retribuzione degli ultimi anni è inutile. Ma come posso fare per racimolare quanto più possibile di pensione? Mi suggerite qualcosa?

I sistemi di calcolo delle pensioni oggi

Anche se il sistema pensionistico italiano oggi è contributivo, il calcolo delle pensioni resta ancora ancorato il più delle volte al passato. Ci sono lavoratori che godono ancora del calcolo retributivo, altri del calcolo misto e c’è pure chi ha diritto al calcolo esclusivamente contributivo. Prima di approfondire il tutto, meglio fare una sintesi sulle differenze dei tre sistemi che l’INPS adotta per calcolare le prestazioni. Nel sistema contributivo la pensione è calcolata in base al montante dei contributi, cioè alla somma dei contributi versati durante gli anni di lavoro che vengono prima rivalutati al tasso di inflazione di ogni anno che passa tra quello di versamento e quello di pensionamento.

E poi vengono moltiplicati per delle percentuali fisse (c.d. coefficienti di trasformazione, ndr) che fanno salire la pensione in maniera proporzionale all’età di uscita (più alta l’età più alta la pensione). Nel sistema retributivo le pensioni vengono calcolate in base allo stipendio medio percepito dal lavoratore, ma soprattutto negli ultimi anni di carriera (in genere gli ultimi 5 o 10 anni). Nel misto come logica vuole, una parte di pensione è calcolata con il sistema contributivo, l’altra con il sistema retributivo.

I suggerimenti per prendere una pensione più alta sfruttando gli ultimi anni di lavoro

Chi ha smesso di lavorare prima del 1996 e deve andare in pensione, gode esclusivamente del calcolo retributivo della prestazione. Chi invece ha iniziato la carriera dopo il 1995, ha diritto al calcolo esclusivamente contributivo. Per gli altri, vige il calcolo misto, diverso però a seconda della carriera maturata nell’uno o nell’altro sistema. Infatti il calcolo retributivo nel sistema misto si applica per tutti i periodi di lavoro antecedenti il primo gennaio 1996. Il calcolo contributivo invece si applica ai periodi successivi il 31 dicembre 1995. Ma se un lavoratore ha maturato 18 anni di contributi o più, già al 31 dicembre 1995, ha diritto al calcolo retributivo fino al 2012.

Il primo suggerimento è quello di verificare se ci sono contributi da riscattare o da validare antecedenti il 1996 che magari oggi non sono considerati. Perché arrivare ai 18 anni di versamenti già al 31 dicembre 1995 favorisce l’assegno che si prenderà per il resto della vita.

Perché lo stipendio degli ultimi anni di carriera continua a contare molto

Non si potrà fare come in passato, cioè che in accordo con un datore di lavoro gli stipendi vengono incrementati a dismisura per generare una pensione più alta.

Ma le retribuzioni restano fondamentali, sia con pensioni miste e retributive, che per pensioni contributive. Infatti è vero che oggi contano i contributi, ma questi partono sempre dallo stipendio percepito. L’aliquota in vigore nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti INPS (FPLD) è pari al 33%.

Significa che tra quota a carico del datore di lavoro (la maggiore) e quota a carico del lavoratore, quest’ultimo accumula il 33% dello stipendio mensile come contributi pensionistici. Non serve una laurea per capire che più alto è lo stipendio, più contributi si versano. Aumentare lo stipendio significa aumentare la contribuzione e quindi aumentare la pensione futura. Non inciderà in maniera cospicua come in passato, ma un incremento di salario sul finire della carriera aiuta comunque.

Stipendio più basso? Anche la pensione scende

Al contrario, scendere di stipendio, come per esempio, passare al part-time dal tempo pieno, o andare in NASPI, può sortire l’effetto contrario. In questo caso il sistema contributivo salvaguarda il lavoratore. Perché di fatto si tratta comunque di contributi che finiscono nel montate e che faranno parte della pensione futura. Ma se un lavoratore ha diritto al calcolo misto, la parte retributiva verrebbe penalizzata da una diminuzione del valore dei contributi versati per via della riduzione dello stipendio. A conferma di quest’ultima informazione, il fatto che l’INPS ammette la sterilizzazione dei contributi nel caso in cui questi, producono un danno sull’importo futuro della pensione. Perché il lavoratore può chiedere in fase di liquidazione della pensione, di non considerare, con la neutralizzazione dei contributi dannosi, quelli che penalizzano l’importo.