Una recente mozione approvata in Parlamento impegna il Governo Meloni a portare le pensioni minime a 1.000 euro al mese. La mozione ha visto l’approvazione trasversale, ovvero anche di alcune forze di minoranza. Nulla di nuovo, perché la pensione minima a 1.000 euro è stata una delle promesse che i partiti di maggioranza fecero in campagna elettorale. Ma già nel 2023 qualcosa da questo punto di vista si è mosso, con incrementi extra approvati e concessi a determinati pensionati.

Non sono arrivati a 1.000 euro i trattamenti, ma un primo aumento li ha portati per qualcuno alla soglia dei 600 euro.

E già si parla di un nuovo incremento da 100 euro per il 2024. Aumenti graduali per arrivare all’obbiettivo dei 1.000 euro quindi, perché la mozione impegna l’esecutivo a fare ciò entro fine legislatura. Ma sui trattamenti INPS strumenti idonei a renderle, per così dire, più dignitose ci sono. Solo che molti pensionati non li utilizzano. Uno di questi è il nostro lettore che scrive:

“Gentile redazione, volevo da parte vostra un chiarimento. Ho una pensione di 500 euro al mese o poco più. A gennaio ho avuto un piccolo aumento, sicuramente per l’inflazione. Ma non dovevano portare le pensioni a 600 euro? Almeno così avevo capito che molti di noi dovevano prendere a luglio. Io no. Non voglio nemmeno parlare delle minime a 1.000 euro di cui parlò Berlusconi l’anno scorso. Si tratta delle solite promesse di Pinocchio?”

Lo sai che puoi prendere una pensione più alta ma solo se presenti una domanda? Ecco di cosa si tratta

La questione delle pensioni minime è vecchia di decenni. Perché portare le pensioni a essere più ricche per i pensionati era, e resta, uno dei problemi del sistema pensionistico. Si parla sempre di requisiti pensionistici, di pensioni anticipate, di accelerare le uscite per i lavoratori. Ma questi non sono gli unici problemi del sistema.

Perché ci sono anche i problemi correlati agli importi delle pensioni. Molti infatti sono i pensionati che come il nostro lettore prendono trattamenti al di sotto della soglia della povertà. Perché se ricordiamo che il reddito di cittadinanza parte proprio da 780 euro al mese come soglia della povertà, è evidente che ci siano pensionati che vivono con pensioni da fame. Ma alcuni strumenti che permettono di rendere gli assegni più dignitosi esistono. Ma vanno sfruttati perché l’INPS non ragiona in automatico.

In parole povere servono delle domande per vedersi aumentare l’importo del trattamento per il pensionato che ha prestazioni al di sotto di 500 euro. E ripetiamo, non sono pochi i pensionati in queste condizioni.

Integrazione al trattamento minimo INPS, ecco come si richiede

L’’integrazione al trattamento minimo è uno strumento che consente al pensionato che prende una pensione al di sotto di un determinato importo, di arrivare a prendere la soglia minima di pensione annualmente prevista dall’INPS. Il trattamento minimo della pensione nel 2023 è stato stabilito dall’INPS con una circolare a inizio anno. Parliamo della circolare n° 35 del 2023 che ha introdotto il trattamento minimo da 563,74 euro. Ma la rivalutazione ha portato a un incremento aggiuntivo dell’1,5% che ha portato l’integrazione al minimo a 572,20 euro. Solo per gli over 75 invece, l’incremento è stato ancora superiore, con le minime a 599,82 euro.

Per godere di una pensione integrata al trattamento minimo però, il pensionato prima di tutto deve rientrare nelle soglie di reddito prestabilite e che in molti casi riguardano anche i redditi del coniuge. Ricapitolando, l’integrazione al trattamento minimo è la somma aggiuntiva che l’INPS eroga al contribuente che ha un assegno che non raggiunge l’importo minimo previsto.

Pensioni contributive, niente integrazione al trattamento minimo dall’INPS

A esclusione dell’importo della pensione già percepita, degli eventuali Trattamenti di Fine Rapporto, degli arretrati a tassazione separata e dei redditi della casa di abitazione, tutti gli altri vanno considerati per verificare il diritto all’integrazione al trattamento minimo.

L’integrazione spetta in misura piena se il reddito personale non supera 7.384 euro e se il reddito coniugale non supera 29.533 euro. Queste sono le soglie minime 2023, quelle aggiornate dall’INPS a inizio anno. L’integrazione è parziale invece per chi ha redditi propri entro 14.758 euro e cumulati con il coniuge entro 29.315 euro. Le cifre di cui parla il nostro lettore quindi potrebbero dare diritto all’integrazione. Eventualmente occorrerebbe presentare domanda di ricostituzione per motivi reddituali.

Va detta però un’altra cosa. L’integrazione non spetta alle pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo. Se il lettore ha il suo trattamento previdenziale in questo modo, allora per lui l’integrazione al trattamento minimo così come le maggiorazioni, non spettano. Se ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e non ha contributi a qualsiasi titolo versati prima del 1996, allora la sua pensione è contributiva e quindi le cifre che percepisce resteranno quelle.