Andare in pensione in anticipo, ma accettando di prendere di meno di trattamento. Questa, oltre che la prassi che ormai da anni il sistema previdenziale offre ai lavoratori, sarebbe anche una soluzione logica. Perché è evidente che chi continua a lavorare, versando contributi, alla fine percepisce di più di chi invece interrompe prima la sua attività, bloccando i versamenti.

Sarebbe la logica del sistema contributivo, dove le pensioni sono basate sull’ammontare dei contributi versati. Ma ci sono penalizzazioni e penalizzazioni.

Oggi rispondendo ad un nostro lettore, analizzeremo ciò che succede, ormai per molte misure, ad anticipare l’uscita dal mondo del lavoro.

“Ho 65 anni di età e nel 2024 potrò andare in pensione con la quota 103 perché raggiungo 41 anni di contributi versati. Più o meno intorno all’estate. Dal momento che ho capito che la nuova quota 103 è penalizzante per i nuovi pensionati, vi voglio porre un quesito. Secondo voi faccio bene a lasciare il lavoro con quota 103? Perché tra finestre di attesa e altri paletti, è vero che subirò una penalizzazione, ma è altrettanto vero che se non ho capito male questa penalizzazione durerà solo fino a quando raggiungerò i 67 anni di età. Se è così mi conviene. Secondo voi è giusto? Lascerei il lavoro a 66 anni. Se il taglio è sopportabile, per 12 mesi il sacrificio lo farei.”

Pensione anticipata con tagli? Ecco quelli che vengono assorbiti nel tempo e quelli perenni

Quota 103 per come è stata rinnovata dal governo Meloni è una misura ricca di penalizzazioni e probabilmente è unica nel suo genere. Ma non è certo l’unica misura che prevede tagli di assegno per i lavoratori. Uscire dal lavoro prima, strutturalmente espone subito a due fattori penalizzanti.

Il primo è l’interruzione dei versamenti contributivi che non riempiono il montante dei contributi come invece fanno per chi resta al lavoro fino all’età pensionabile. E poi c’è il fattore dei coefficienti di trasformazione, che sono tanto più favorevoli, quanto più sale l’età del lavoratore che va in pensione.

Si tratta dei coefficienti con cui viene moltiplicato il montante dei contributi rivalutato, per ottenere la rendita che l’INPS concede al pensionato. Ma ormai sono tante le misure che a queste penalizzazioni strutturali, aggiungono penalizzazioni in termini di assegno da percepire. Ed anche la nuova quota 103, come rinnovata dal governo, non è esente da tagli.

Anticipare l’uscita dal lavoro non sempre è gratis

Probabilmente per quanto detto anche da noi in nostri precedenti articoli pubblicati, anche la futura riforma delle pensioni che il governo pare intenzionato a varare entro la fine della legislatura, non dovrebbe essere scevra da tagli. Si va verso misure che prevedono il calcolo contributivo. Un sistema di calcolo della pensione che finisce con l’essere davvero penalizzante per i pensionati.

Ci sono misure che prevedono delle penalizzazioni per sempre, ed altre a termine. Infatti ci sono tagli che durano soltanto fino a un determinato periodo. E altri che invece accompagnano il pensionato per il resto della vita.
Un tipico esempio può essere l’Ape sociale.

Infatti con l’Anticipo pensionistico sociale i lavoratori possono prendere fino a un massimo di 1.500 euro di pensione al mese, ma solo fino a quando raggiungono la loro pensione di vecchiaia ordinaria cioè a 67 anni. Questo step vale anche per quanto riguarda il fatto che l’Ape sociale non ha tredicesima, assegni familiari, maggiorazioni e indicizzazione al tasso di inflazione. Anche in questo caso il limite è fissata a 67 anni di età.

Quota 103, cosa si perde, quali sono le penalizzazioni e tutte le limitazioni

Tornando alla quota 103 che è la misura che il nostro lettore vorrebbe usare per lasciare il lavoro, va detto che ha delle penalizzazioni a termine e altre durature.

Per esempio, chi esce con quota 103 è assoggettato al divieto di cumulo dei redditi della pensione con quelli da lavoro. Un vincolo che riguarda sia il lavoro dipendente che quello autonomo.

Infatti per arrotondare la pensione, l’unica concessione a questo vincolo è rappresentata dal lavoro autonomo occasionale fino a massimo 5.000 euro ad anno. Solo a 67 anni questo vincolo viene meno. Inoltre, nel 2024 la pensione con quota 103 non può eccedere una cifra pari a 4 volte il trattamento minimo.

Significa che anche se il lavoratore ha diritto da una pensione lorda di 4.000 euro al mese, non potrà prendere più di 2.200/2.300 euro al mese. E fino al raggiungimento dei 67 anni.

Ecco le penalizzazioni a scadenza per la pensione anticipata con quota 103

Se i limiti della quota 103 fossero solo quelli riportati nel paragrafo precedente, non ci sarebbero grossi problemi per il nostro pensionato. Che andrebbe in pensione a 66 anni per via delle finestre di 7 mesi nel settore privato e 9 mesi nel pubblico impiego che la quota 103 prevede.

Si tratterebbe di subire queste limitazioni per un anno o poco più. Invece per la misura c’è una penalizzazione perpetua appena introdotta dal governo. Sulla quota 103 la proroga non ha lesinato correttivi a discapito dei pensionati.

Il calcolo contributivo penalizza per sempre

Abbiamo già parlato delle finestre di attesa, che fino al 31 dicembre 2023 sono di 3 mesi nel settore privato e 6 mesi nel settore pubblico, mentre adesso diventano rispettivamente di 7 e 9 mesi. Abbiamo discusso anche dell’importo massimo della pensione che nel 2024 sarà di 4 volte il trattamento minimo mentre nel 2023 è pari a 5 volte lo stesso trattamento. Ma la novità maggiore è il calcolo della pensione. Che fino al 31 dicembre corrente anno è misto, ovvero contributivo e retributivo, e nel 2024 diventa esclusivamente contributivo.

Ciò significa perdere una sostanziosa parte di pensione, anche se i calcoli variano da contribuente a contribuente. E questo taglio, che esperti in materia sostengono possa superare il 30%, durerà per il resto della vita del pensionato. Infatti la pensione come calcolata alla data di uscita, resta così e non cambia a 67 anni come fanno le altre limitazioni.