Andare in pensione a 64 anni di età a fronte di una carriera di soli 20 anni di contributi è possibile? La risposta è affermativa, anche se non è una cosa facile e soprattutto non è una cosa idonea per tutti i lavoratori. La pensione a 64 anni necessita di 41 anni di contributi versati per la quota 103. Ma con 20 anni di contributi versati e 64 anni di età c’è chi può lasciare il lavoro ma a condizioni limitate e piene di vincoli, spesso insormontabili. Inoltre, tra le ipotesi di riforma del sistema pensionistico c’è proprio una possibile via di uscita a 64 anni di età.

E con i 20 anni di contributi già citati. In pratica, si ipotizza di riformare le pensioni partendo da una estensione alla generalità dei lavoratori, di una misura che anche adesso ha nella combinazione 64+20 quella di partenza.

“Gentile redazione, volevo chiedervi se sarà davvero possibile anche per me andare in pensione a 64 anni di età che compio a febbraio 2024. E con vent’anni di contributi versati. Parlo della pensione anticipata contributiva che pare sarà estesa anche a chi rientra nel sistema misto. Io ho iniziato a lavorare nel 1993, e tra interruzioni di carriera e lavori saltuari non ho avuto una vita lavorativa lunga e duratura. Ma se davvero la riforma delle pensioni partirà da 64 anni di età, estendendo la possibilità anche a noi che rientriamo nel sistema misto, il 2024 potrebbe essere l’anno giusto per il mio pensionamento. Secondo voi esistono speranze da questo punto di vista?”

Le riforma delle pensioni e il via dal lavoro a 64 anni, cosa c’è di vero

Effettivamente tra le tante proposte sulla riforma delle pensioni che in questi mesi hanno fatto capolino c’è anche quella di estendere la pensione anticipata contributiva anche a chi rientra nel cosiddetto sistema misto. Si tratta di chi ha una parte dei contributi versati nel sistema retributivo (prima del 1996) e una parte nel sistema contributivo.

Un tipico esempio sarebbe quello che ci espone il nostro lettore, che oggi non ha la possibilità di uscire con 64 anni di età (a prescindere dal fatto che non li ha ancora completati) e 20 anni di contributi versati. Perché parliamo della pensione anticipata contributiva che è una misura che si applica esclusivamente ai contributivi puri.

Uno strumento però che in futuro, se venisse eliminato questo vincolo, potrebbe riguardare anche chi rientra nel sistema misto. Detto ciò, va sottolineato il fatto che anche di fronte ad una riforma delle pensioni che preveda l’estensione della pensione anticipata contributiva anche a chi rientra nel sistema misto, ci sarebbe da fare i conti sempre con un vincolo. Infatti bisogna sempre raggiungere l’importo minimo della pensione. Un importo che va superato per rientrare in una misura di questo genere.

La pensione anticipata contributiva oggi

La pensione anticipata contributiva è una pensione anticipata che riguarda coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il primo gennaio 1996. Per accedere a questo genere di prestazione però bisogna, oltre che completare il 64 anni di età e completare i 20 anni di contributi versati, anche raggiungere una pensione che per importo deve essere pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. E parliamo dell’assegno sociale in vigore nell’anno in cui il lavoratore vuole sfruttare la misura. In buona sostanza, nel 2023 chi vorrebbe uscire con una pensione anticipata contributiva dovrebbe ottenere un assegno che per importo deve essere pari ad almeno 1.408 euro al mese. Infatti l’assegno sociale del 2023 è pari a 503 euro e bisogna raggiungere almeno una pensione pari a 2,8 volte questo importo.

L’estensione della pensione anticipata contributiva ai misti, come andrebbe in porto la novità?

A dire il vero nei discorsi che si fanno sulla riforma delle pensioni, compare proprio l’apertura ai misti della pensione anticipata contributiva.

Si partirebbe da un fattore. Il lavoratore che rientra nel misto dovrebbe accettare di vedersi calcolare la prestazione interamente con il sistema contributivo. Perdendo quella parte di pensione di maggior vantaggio che il sistema retributivo offre. Ma su una carriera di 20 anni di contributi, lo svantaggio non sarebbe pesante per la stragrande maggioranza dei lavoratori in queste condizioni.

In pratica, chi come il nostro lettore rientra nel misto, dovrebbe accettare che anche i periodi antecedenti il 1996, vengano calcolati con il penalizzante sistema basato sul montante contributivo. Addio al calcolo basato sulle ultime retribuzioni quindi. Ma a fronte di 3 anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria, uno scotto che potrebbe essere lieve. Ma sulla misura, anche se da semplice ipotesi come è oggi, si tramutasse in realtà, ci sarebbe da verificare la possibilità che diventi misura a vasta fruibilità.

Via i vincoli di importo o riduzione di questi limiti

Pensare che sia facile raggiungere una pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale e quindi sopra i 1.408 euro al mese, per chi ha una carriera vicina ai 20 anni di contributi è un errore. Servono retribuzioni elevate per arrivare a queste soglie in una così breve carriera. Il limite che incontrano comunemente i contributivi puri oggi, si trasferirebbe senza dubbio anche ai retributivi che optassero per l’anticipata. Per questo si pensa ad eliminare questo vincolo, o quanto meno a ridurlo. Magari portandolo allo stesso livello della pensione di vecchiaia in regime contributivo.

Infatti chi non ha versamenti prima del 1° gennaio 1996, per accedere alla sua pensione deve raggiungere un assegno pari ad almeno 1.5 volte l’assegno sociale. Si tratta di una pensione da 750 euro circa al mese. Questo il vincolo che i contributivi puri hanno per la pensione di vecchiaia a 67 anni di età. E sarebbe un vincolo che si estenderebbe anche alla pensione anticipata contributiva per tutti, come da ipotesi sopra descritta.