Quando si ragiona di pensioni e di riforma delle pensioni, c’è una età che entra sempre in discussione ed è quella dei 62 anni. Oggi l’età pensionabile in vigore dice 67 anni. Perché solo raggiungendo quella età, e non per tutti, la pensione di vecchiaia diventa lo strumento di pensionamento più facile. E allora perché si parla sempre con insistenza dei 62 anni di età? Perché negli ultimi anni ci sono state alcune misure che proprio nei 62 anni avevano l’età pensionabile di partenza.

E poi perché anche in futuro questa età potrebbe tornare utile ai pensionamenti.

“Gentili esperti, volevo porvi un quesito che può apparire strano ma che secondo me interessa molti lavoratori. Volevo capire, io che compio a giugno 2025 62 anni di età, se davvero si potrà andare in pensione a partire da questa età anagrafica. Perché sento parlare sempre di 62 anni come dell’età di diverse misure pensionistiche che sarebbero come le più probabili per la riforma del sistema. Secondo voi sarà davvero così la pensione in futuro? E se sì, da quando?”

Si potrà andare in pensione a 62 anni dal 2024 in poi? Ecco cosa accadrà da gennaio

Il nostro lettore ha perfettamente ragione quando asserisce che spesso si parla di pensioni a 62 anni come di misure che potrebbero entrare in scena nel sistema previdenziale. Sia con una profonda riforma che senza. Ed è vero che negli ultimi anni sono nate misure che hanno in questa età la base di partenza anagrafica da cui poter essere sfruttate. Il riferimento non può che essere alla quota 100 e alla quota 103. La prima permetteva le uscite con almeno 62 anni di età e con 38 anni di contributi. La seconda invece con 62 anni di età e con 41 anni di contributi. La prima misura è scaduta il 31 dicembre 2021, la seconda scade il 31 dicembre prossimo.

Ancora quota 103 nel 2024?

Ma proprio la quota 103 è la misura su cui il Governo sembra abbia manifestato l’intenzione di confermare anche nel 2024.

Quindi, è probabile che anche nel 2024 si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi versati a quella età. Ma si tratta di una pensione a 62 anni per pochi, dato la grande carriera contributiva necessaria. Pochi lavoratori anche nei confronti di chi ha avuto la possibilità di sfruttare la quota 100 tra il 2019 e il 2021. Sicuramente il nostro lettore fa riferimento ad altro rispetto a queste due misure. Perché i 62 anni sono oggetto di diverse proposte sia nuove che vecchie.

La pensione a 62 anni era un argomento già tempo fa

In passato una delle proposte di riforma delle pensioni più discussa fu il DDL 857 promosso da Cesare Damiano quando era Presidente della Commissione Lavoro a Montecitorio. Una proposta a prima firma proprio del noto esponente PD ed ex Ministro, ma anche di due parlamentari dei DEM, ovvero Pierpaolo Baretta e Marialuisa Gnecchi. La proposta parlava di pensioni a partire da 62 o 63 anni, con almeno 20 anni di contributi, ma con annesso sacrificio economico dei pensionati. Perché si parlava di un taglio lineare di pensione per ogni anno di anticipo prima dei 67 anni di età. In pratica, il pensionato usciva prima, ma perdendo tra il 2 e il 3% di pensione per ogni anno mancante ai 67 anni (a 62 anni taglio tra il 10 e il 15% per 5 anni di anticipo).

I sindacati e la loro pensione a 62 anni

Non si fa riferimento più a quella proposta, ma penalizzare le pensioni concedendo l’uscita a 62 anni resta argomento caldo. per assecondare le volontà dei sindacati, che pretendono una pensione flessibile a partire proprio dai 62 anni e con 20 di contributi. Ma i sindacati non vogliono penalizzazioni. Il Governo però, per via dei conti pubblici, deve pensare a tagli di assegno per ogni misura di pensionamento anticipato.

E qualcuno non vedrebbe male la possibilità di dire di sì alla pensione a 62 anni con 20 di contributi, ma partendo da tagli lineari come proposto a suo tempo dal DDL 857 (magari meno pesanti per ogni anno di anticipo), o da un calcolo contributivo obbligatorio della prestazione.

E se si partisse da penalizzazioni a termine?

Ma a 62 anni si potrebbe concedere la pensione anche partendo da una vecchia proposta di Pasquale Tridico (più recente del DDL di Cesare Damiano) quando era presidente dell’INPS. Per permettere il varo di una misura che vede nei 62 anni l’età minima di uscita, allora perché non penalizzare i pensionati come detto in precedenza, ma solo fino ai 67 anni di età? La proposta divideva in due la pensione anticipata presa da un lavoratore. In altri termini, a 62 anni chi voleva lasciare il lavoro, anche a fronte di una carriera lunga 20 anni o poco più, doveva accettare il calcolo contributivo della prestazione. Una pensione quindi, penalizzata. Ma solo fino al compimento dei 67 anni di età.

In quel caso infatti il pensionato poteva ricevere un riconteggio della prestazione, senza la penalizzazione subita a 62 anni. La pensione a 67 anni verrebbe ricalcolata con il sistema misto e quindi diventerebbe di importo pari a quello effettivamente spettante.

Pensioni anticipate senza limiti di età, ma a 62 anni diventano maggiormente possibili

Andare in pensione a 62 anni comunque, potrebbe diventare più semplice anche se non verranno varate le misure prima citate. Basterebbe andare avanti con la misura “spot” di cui ha parlato la Meloni in questi giorni. Parliamo della quota 41 per tutti, che viene definita misura spot perché autentico cavallo di battaglia leghista. E l’attuale Premier ha fatto già intendere che nel 2024 non ci saranno nuove pensioni con queste misure tanto popolari. Però entro la fine della legislatura non è detto che quota 41 per tutti non vada in porto. E allora, essendo una misura priva di limiti anagrafici, avrà probabilmente nei 62 anni l’età di uscita maggiormente utilizzata.

Perché raggiungere 41 anni di contributi prima dei 62 anni presuppone carriere lavorative iniziate presto e fornite di una continuità praticamente perenne. Una cosa che ormai da anni è complicato da trovare nel mondo del lavoro. Ecco che 62 anni, per un lavoratore la cui carriera è iniziata a 21 anni, o prima se con interruzioni, raggiungere i 41 anni non sembra un esercizio azzardato.