Ci sono almeno 2 effetti causati dalla tanto discussa riforma delle pensioni di Elsa Fornero nel 2011. Il primo effetto è stato subito nell’immediato da quanti si sono trovati di colpo con le possibilità di pensionamento che da imminenti sono diventate lontane nel tempo. E sono nati i famosi esodati, soggetti privati della pensione ma privati anche del reddito da lavoro dal momento che ignari di ciò che avrebbe fatto la Fornero, avevano già deciso di dire basta con l’attività. Soggetti che sono diventati il problema principale anche dei governi successivi, quelli del “tecnico” Mario Monti.

A tal punto che per risolvere il tutto sono stati necessari numerosi interventi di salvaguardia esodati. Ma un effetto che ancora oggi si sente è il passaggio dalla pensione di anzianità a quella anticipata. Un netto peggioramento dei requisiti per le pensioni, che ancora oggi si avverte. 

“Buonasera, volevo capire se nel 2024 qualcosa cambierà in meglio sulle pensioni. Nel 2024 completo 41 anni di contributi, ma avrò “solo” 61 anni di età. Non rientro nella quota 41 altrimenti non vi avrei scritto. Svolgo un lavoro che non è considerato gravoso. E non avrò i 62 anni della quota 103, sempre che venga confermata. Vorrei tanto tornare indietro nel tempo. Mio padre che ha svolto lo stesso mio lavoro per tutta la vita uscì nel 2010 con 40 anni di contributi e 59 anni di età. Perché oggi c’è tutta questa differenza?”

Perché sulla riforma delle pensioni della Fornero i pareri sono contrastanti

Le critiche che si muovono nei confronti della famigerata riforma delle pensioni di Elsa Fornero sono tutte indirizzate proprio sull’inasprimento dei requisiti per le pensioni. Ma se i critici usano questo inasprimento per bocciare sonoramente la riforma del 2012, gli stessi inasprimenti vengono battezzati come necessari per salvaguardare l’intero sistema, non solo dalla Fornero, ma anche da illustri tecnici ed esperti di oggi.

All’epoca della riforma Fornero c’erano problemi di crisi economica non indifferente. E il sistema pensioni italiano viveva una fase di grave crisi (a dire il vero è ancora oggi così). Le pensioni facili, le baby pensioni e il meccanismo italiano finirono sul banco degli imputati come il male assoluto del sistema. La crisi dell’INPS secondo i legislatori nasceva dal fatto che si andava in pensione troppo presto. E allora ecco il cambio di rotta, con le pensioni di vecchiaia che da 60 anni sono passate oggi a 67 anni. Con le differenze tra uomini e donne oggi praticamente nulle. E con le pensioni di anzianità, sia ordinarie che con quota 96, cestinate e sostituite dalle attuali pensioni anticipate. 

Il paragone tra la pensione anticipata di oggi e le pensioni di anzianità del passato, ecco cosa servirebbe nel 2024

Il nostro lettore ci chiede in parole povere, se l’anno prossimo potrà andare in pensione più o meno come ha fatto suo padre nel 2010. La nostra risposta non può che essere negativa. Non si tornerà mai indietro a quanto accadeva prima della riforma delle pensioni di Elsa Fornero. Sembra più facile l’esatto contrario, anche se non vorremmo sembrare dei disfattisti. Resta il fatto che molto è cambiato negli anni. Perché prima della riforma delle pensioni del decreto Salva Italia del Governo del Premier Mario Monti, si andava in pensione, senza limiti anagrafici, con 40 anni di contributi. ma con un’importante parallela misura che si chiamava quota 96.

In pratica chi non raggiungeva 40 anni di contributi, a 60 anni di età con 35 anni di versamenti e contestualmente completata la quota 96 (somma di età e contributi e valide anche le frazioni di anno), poteva lasciare comunque il lavoro. Oggi sono due misure inesistenti, sostituite da un unico strumento che si chiama pensione anticipata ordinaria. E per lasciare il lavoro, sempre senza limiti di età, serve la bellezza di una contribuzione pari ad almeno 42 anni e 10 mesi per gli uomini, e appena un anno in meno di versamenti per le donne.

 

Il passato non ritorna più, ed il peggioramento dei requisiti è evidente

Le altre misure che detonano l’inasprimento proveniente dalla riforma Fornero, servono solo a pochi soggetti. La quota 41 per i precoci per esempio, oltre ad essere fruibile con un anno di contributi prima dei 19 anni di età, ha una platea ridotta a 4 categorie. Invalidi, caregiver, disoccupati o lavori gravosi. Il che la rende misura con un evidente profilo assistenziale. L’Ape sociale funziona allo stesso modo, per le stesse platee (solo i gravosi sono leggermente di più). Servono 63 anni di età e tra i 30 ed i 36 anni di contributi. Nulla di paragonabile alla quota 96 prima citata. Da queste evidenti differenze con il passato, nasce la necessità di riformare nuovamente il sistema. Dotandolo di misure, che pur se meno favorevoli rispetto al passato, rendano più favorevoli le uscite di domani.

La quota 41 per tutti per esempio, non riporterebbe le uscite alle vecchie pensioni di anzianità. Ma 41 anni, anche se peggio di 40 come contributi da versare, sono meglio di 42,10 delle pensioni anticipate di oggi. E la flessibilità in uscita, soprattutto oggi che il contributivo la fa da padrone, dovrebbe essere garantita. Consentendo a 62 anni di poter lasciare il lavoro a quanti si accontentano di una pensione più bassa rispetto ai 67 anni. Non sarà come uscire a 60 anni con la vecchia quota 96, ma è pur sempre una cosa migliore rispetto all’Ape sociale di oggi.