Essere pagati per non lavorare: molti di istinto diranno “magari” di fronte a questo ipotetico scenario. Ma chi si trova costretto a “vivere questo sogno” ci spiega che può essere un incubo. Senso di inutilità e frustrazione compromettono l’animo dei dipendenti onesti, di chi vorrebbe lavorare ed essere retribuito per quello che effettivamente fa e non per “scaldare la poltrona”. Il pensiero va alle parole del Pontefice quando parla di “dignità del lavoro”.

Da 16 anni Giuseppe Posillico è dipendente Rai (sulla carta tecnico impiegato presso il centro di produzione tv Rai di Milano) ma, quando gli chiedono che lavoro fa, ad essere onesto dovrebbe rispondere “nessuno”.

Si perché in effetti è pagato per non lavorare: l’unico obbligo è fare atto di presenza, ovvero presentarsi la mattina sul posto di lavoro e restare alla scrivania per 8 ore e 35 minuti al giorno. Nessuna mansione da svolgere. Un vero e proprio stipendio regalato. A raccontare la sua storia è proprio lui, che ha scritto una lettera al direttore generale Mario Orfeo, ai membri del Cda e della Commissione di Vigilanza. Non è la prima volta che il dipendente Rai lamenta pubblicamente di ricevere uno stipendio senza fare nulla: in passato aveva scritto una lettera simile anche all’ex dg Antonio Campo dall’Orto ma senza ottenere risposta. Questa volta il deputato Dem Michele Anzaldi, vicesegretario della Commissione di Vigilanza Rai, ha pubblicato il testo integrale della missiva su Facebook per dare visibilità a questa situazione paradossale di spreco.

Di seguito il testo integrale della lettera dell’uomo che si lamenta perché da 16 anni viene pagato per non lavorare:

Egregio Dott. Mario Orfeo
In data 9 ottobre 2017, ho inviato a lei alla Dott.ssa Delia Gandini (Direttore Internal Auditing) e ai vari Vertici aziendali, una relazione illustrativa e documentata della condizione che mi trovo a vivere in Azienda, condizione che mi vede, da 16 anni a questa parte, privato di qualsiasi incarico e costretto solamente – senza svolgere nessuna attività lavorativa – a dare la mia presenza giornaliera in Sede di 8 ore e 35 minuti. L’obiettivo della relazione, alla luce dei nuovi fatti emersi, che hanno portato in chiara evidenza le responsabilità e l’inettitudine di coloro che hanno generato e consentito il protrarsi della mia vicenda è quello di trovare, di comune accordo, una soluzione che possa sanare la brutta storia che, mio malgrado mi trovo costretto a vivere. Quello che chiedo a lei che è il mio Datore di Lavoro, è di sapere quali sono gli intenti aziendali, e comunque, anche solo per educazione, ricevere una risposta, sia essa positiva o negativa, necessaria e determinante per il percorso che dovrò intraprendere che, in caso di risposta negativa, mi porterà nuovamente ad aprire un’azione Legale contro la Rai (andando ad aumentare ulteriormente il contenzioso aziendale che, com’è noto, è alimentato proprio dalla cattiva gestione del Personale) e contemporaneamente dar vita ad una azione mediatica in grado di attirare l’attenzione sul mio “caso”.
A distanza dall’invio della documentazione di cui sopra Direttore, non avendo ricevuto nessun riscontro, il 23 ottobre u.s. le ho inviato un sollecito – risultato anch’esso vano – dato che non ho da lei ricevuto nessuna risposta.
Mi spiace osservare Direttore, che il suo comportamento, teso ad ignorare le mie istanze, dimostra come le dichiarazioni di intenti, a volte risultino spesso lontane dalla loro reale messa in pratica, della serie: vale ciò che fai, non ciò che dici. Mi riferisco a quanto avvenuto lo scorso 1° agosto in Commissione di Vigilanza della Rai in occasione della sua audizione e della risposta che diede all’intervento del Sen. Francesco Verducci, che a seguito testualmente riporto;
Intervento del Senatore Francesco Verducci: Il primo che tocco, tra questi punti, perché auspico che sia il punto fondamentale del suo mandato, del mandato della sua direzione, è quello che riguarda i lavoratori in Rai. In Rai ci sono migliaia di lavoratori che non hanno a pieno valorizzazione, che non hanno riconosciuta a pieno la loro figura professionale. Ci sono migliaia di precari, migliaia di atipici, molto spesso finte partite Iva, che però svolgono a tutti gli effetti un lavoro subordinato. Sotto la categoria della figura del programmista regista, in realtà, c’è una selva enorme di lavori, molto spesso sottopagati, che mandano avanti l’azienda. Penso, direttore, che sarebbe davvero fondamentale che questa direzione desse un segnale fortissimo e si desse un piano per il recupero, la valorizzazione, il riconoscimento di queste figure, che stanno mandando avanti la Rai con grande capacità e molto spesso in maniera disconosciuta.
La sua risposta Direttore, è stata questa: Non mi sfugge, però, il tema dei dipendenti della Rai. Non mi sfugge affatto. Uno dei miei primi incontri è stato con l’UsigRai. Uno dei miei primi incontri è stato con i sindacati degli altri dipendenti Rai, di tutte le maestranze, quelle di settore e quelle tradizionali, Cgil, Cisl e Uil e quant’altro. Non mi sfugge affatto. E, lo dico collegando Airola a Verducci, io direi dignità e tutela del lavoro ancora prima della giusta e legittima valorizzazione che ci deve essere. Ma in alcuni casi, dignità e tutela del lavoro in Rai. Questo prima di tutto.
Queste sue dichiarazioni, per rafforzare l’elementare concetto, sono state accompagnate dalla mano battuta sul tavolo, che nel linguaggio del corpo significa rafforzare e sottolineare la propria determinazione e convinzione, cosa che però Direttore, non ha poi ancora trovato riscontro e applicazione nella realtà.
Dignità e tutela del lavoro in Rai. Questo prima di tutto.
Una frase bellissima, molte volte utilizzata, ma poche volte applicata da chi invece dovrebbe farlo; io, essendo parte lesa aggiungerei, che il lavoro costituisce un’espressione irrinunciabile della dignità della persona.
Veda Direttore, a differenza del Santo Padre che in più occasioni, anche recentemente, si è speso sulla questione della dignità del lavoro, dando indicazioni al “mondo del lavoro” lei, essendo a capo di un Azienda, alle dichiarate affermazioni e alle sue convinzioni pronunciate durante la sua audizione, dovrebbe invece dare seguito, e adoperarsi al fine che le stesse vengano attuate attraverso precise istruzioni rivolte alla “classe” dirigente della Rai di cui lei è a capo, dirigenti che in Rai ricoprono il ruolo di “facenti funzioni” del datore di Lavoro, e pertanto hanno obblighi e responsabilità a cui non possono venir meno, questo ad evitare che tali responsabilità possano ricadere direttamente sulla sua persona.
Come ho detto sopra, la mia relazione, con annessa documentazione, l’ho inviata anche all’Internal Auditing, all’attenzione del Direttore Dott.ssa Delia Gandini (anche in questo caso, pur essendoci chiare ed evidenti violazioni al Codice Etico Rai, non mi è pervenuta nessuna risposta) con la richiesta di aprire un Audit interno finalizzato all’individuazione dei responsabili che hanno generato, e ancor peggio prorogato in tutti questi anni, ciò che da tempo vado denunciando. E sì Direttore, le responsabilità… responsabilità che appaiono essere evidenti e circostanziate ma è proprio per questo che non riesco a comprendere il motivo per il quale i soggetti responsabili non vengano puniti.
La lascio con una storiella, dal titolo: “non è compito mio”, storia divertente che certo lei conoscerà, e che ben si adatta alla nostra Azienda, e in particolare al mio caso.
NON E’ COMPITO MIO.
Questa è la storia di quattro persone chiamate: OGNUNO, QUALCUNO, CIASCUNO e NESSUNO.
C’era un lavoro importante da fare e OGNUNO era sicuro che QUALCUNO l’avrebbe fatto. CIASCUNO avrebbe potuto farlo, ma NESSUNO lo fece. QUALCUNO si arrabbiò perché era un lavoro di OGNUNO. OGNUNO pensò che CIASCUNO poteva farlo, ma NESSUNO capì che OGNUNO non l’avrebbe fatto. Finì che OGNUNO incolpò QUALCUNO perché NESSUNO fece ciò che CIASCUNO avrebbe potuto fare.
In attesa di ricevere una sua risposta, cordialmente saluto lei e coloro che in copia ci leggono.

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