Opzione donna è una misura che probabilmente ha pochi uguali come vantaggio in termini di età con cui si può lasciare il lavoro. Per questo sono tante le lavoratrici che la vorrebbero strutturale e non più sperimentale. Intanto, anno dopo anno la misura è stata sempre riconfermata con ogni legge di Bilancio. Adesso la sua scadenza è fissata al 31 dicembre prossimo, ma con requisiti al 31 dicembre 2021. Ma opzione donna conviene o no? La domanda che molte lavoratrici di pongono è questa. E lo fa anche una nostra lettrice che ci scrive:  

“Probabilmente non è una domanda tecnica, ma vorrei un vostro parere su opzione donna.

Ho 60 anni di età (compio 61 a dicembre). Dopo quasi 38 anni di lavoro, vorrei tanto mollare. Vorrei dedicarmi ad altro, riposare e fare la nonna a tempo pieno visto che presto diventerò nonna per la seconda volta. Credo di avere diritto ad opzione donna. Secondo voi conviene o sarebbe meglio lavorare ancora ed aspettare altre misure?” 

Una domanda comune a molte lavoratrici, combattute tra il restare in servizio e il mettersi a riposo dedicandosi ad altro. La risposta non può essere univoca dal momento che ogni situazione ed ogni caso può cambiare tutto.  

Opzione donna, la misura in sintesi 

L’ultima versione di opzione donna, così come è stata prorogata lo scorso primo gennaio fissa al 31 dicembre 2021 il termine ultimo per i requisiti anagrafici e contributivi. Le lavoratrici devono aver completato entro il 31 dicembre scorso sia i 35 anni di contributi che l’età. Quest’ultima deve essere pari ad almeno 58 anni per le lavoratrici dipendenti e almeno 59 anni per le lavoratrici autonome. Per la decorrenza della pensione occorre attendere 12 mesi. Infatti per opzione donna c’è la finestra mobile di 12 mesi.  

Guida sintetica al calcolo della pensione con opzione donna 

Se il riferimento è la pensione di vecchiaia ordinaria (a 67 anni di età), sono 8 anni al netto della finestra, quelli che si risparmiano con opzione donna.

Se invece il riferimento è la pensione anticipata (per le donne 41 anni e 10 mesi di contributi versati), sono 6 anni e 10 mesi di lavoro in meno. Vantaggi evidenti quindi, dal momento che l’uscita dal lavoro concessa con opzione donna è estremamente vantaggiosa. Ma c’è da fare i conti con un netto taglio di assegno, perché la pensione incassata mensilmente è ridotta e di molto. Infatti le lavoratrici dovranno accettare il ricalcolo pieno della pensione con il penalizzante metodo contributivo. In pratica, un taglio dovuto al fatto che la pensione è calcolata solo con il sistema che più le penalizza rispetto al calcolo retributivo di cui avrebbero diritto visto che la carriera per forza di cose è iniziata prima della riforma Dini.  

A chi conviene opzione donna
 

La convenienza a sfruttare l’opzione donna è soggettiva. In primo luogo molto dipende dal periodo in cui sono stati versati i contributi. Va ricordato infatti che chi ha versato oltre 18 anni di contributi fino al 31 dicembre 1995 avrebbe diritto al calcolo retributivo fino al 2011. Chi invece ha una carriera più corta ha diritto al calcolo retributivo fino al 31 dicembre 1995. È evidente che le prime sarebbero più penalizzate. Il calcolo contributivo della prestazione infatti rischia di provocare un taglio di oltre il 30% della pensione spettante alle lavoratrici che invece attendendo la pensione ordinaria godrebbero del cosiddetto calcolo misto.  

L’età in cui si lascia il lavoro conta molto in termini di calcolo della pensione 

Taglio pesante quindi, anche perché al ricalcolo contributivo della prestazione va aggiunto il coefficiente di trasformazione applicato che è meno favorevole per chi lascia il lavoro in più giovane età. In pratica, quanto prima si lascia il lavoro, tanto meno si prende di pensione a parità di carriera. E poi naturalmente occorre considerare il fatto che interrompendo la carriera prima, si verseranno meno contributi rispetto a quelli che si sarebbero versati restando in servizio fino ai 67 anni di età e accedendo alla quiescenza con la pensione di vecchiaia ordinaria.