Lavoro e robot: non è solo una questione di capire quali posti ci ruberanno ma anche in che modo saranno impattati gli stipendi. Che l’ingresso dei robot nel mondo del lavoro sia imminente è ormai un dato di fatto tanto che, all’estero, si studiano soluzioni per affrontare il problema da un punto di vista fiscale e previdenziale: dalla proposta di far pagare le tasse ai robot a quella di prevedere specifiche assicurazioni per i lavoratori rimpiazzati dalle macchine.

Albert Wenger, partner del fondo di venture capital Union Square Ventures, ha individuato proprio nel costo del lavoro, quindi di fatto nello stipendio per quanto riguarda le risorse umane, il punto di forza degli uomini rispetto ai robot: “gli uomini continueranno ad avere un vantaggio competitivo rispetto a robot e algoritmi.

Quale? Verranno pagati sempre meno”.

La tecnologia infatti sta riducendo le competenze personali richieste per molte professioni. Wenger fa l’esempio dei tassisti a Londra: un tempo questi, per ottenere la licenza, dovevano superare un test, che metteva alla prova la conoscenza delle 25 mila strade della capitale inglese, mentre ora invece “tutto quello di cui hai bisogno per fare l’autista è un dispositivo in cui inserire le coordinate. O meglio, il cliente lo fa già per te e ti dice dove andare”. In altre parole, nell’esempio in esame, applicazioni tipo Uber non hanno dequalificato il lavoro del tassista rendendolo meno complesso e restrittivo. Il corrispondente calo degli stipendi medi, renderà gli umani competitivi rispetto ai robot. La situazione lavorativa quindi sarà la seguente: non ci sarà bisogno di impiegare nuovi robot (e mandare a casa manodopera umana) perché quest’ultima ha un costo limitato.

In questo senso quindi a preoccuparsi del lavoro dei robot dovrebbe essere piuttosto che fa professioni qualificate.