Una vera piaga in Italia è il lavoro nero. Purtroppo per via di diverse ragioni, molti rapporti di lavoro sono irregolari. E c’è un particolare settore del mondo del lavoro che più di altri ha una troppo elevata incidenza di rapporti di lavoro in nero o sommersi. Resta il fatto che troppo spesso si fa riferimento a questo genere di rapporto di lavoro in Italia e soprattutto nel settore domestico. E tanti non conoscono le potenziali conseguenze a cui possono andare incontro e soprattutto ciò che rischiano.

Dal momento che il lavoro domestico riguarda le famiglie italiane e non vere e proprie aziende dal punto di vista del datore di lavoro, meglio fare il punto della situazione e mettere in guardia questi soggetti dai rischi che ci sono.

“Buonasera agli esperti di Investire Oggi. Sono Pamela, maestra di scuola che vi chiede cosa rischiamo in famiglia, assumendo una badante in nero. Premetto che per me assumere regolarmente la badante sarebbe la situazione ideale. Ma è proprio la badante che mi ha chiesto di essere tenuta in nero. Non conosco i motivi, anche se immagino che prenda la Naspi per il precedente lavoro che svolgeva. Il fatto è che mia madre, anziana, vuole proprio questa badante. L’ha conosciuta perché fino a marzo lavorava da una amica deceduta proprio a marzo.”

Il lavoro domestico e il problema di badanti e colf in nero

Da anni sosteniamo che, statistiche alla mano, il settore domestico di colf e badanti, ha tra le tante problematiche quella del lavoro nero. Infatti nel settore si registra il 33% circa di incidenza del lavoro nero. Se al sommerso si aggiunge il lavoro grigio, cioè assunzioni che ci sono ma non sono comunque irregolari, la percentuale supera il 50%. In pratica ogni tre badanti che lavorano nelle case delle famiglie italiane, una lavora in nero.

Il problema nel settore domestico è lo stesso di qualsiasi altro settore.

Spesso diventa insostenibile il costo del lavoro per i datori di lavoro e quindi anche per le famiglie che assumono badanti e colf. Oltretutto, dal punto di vista del lavoratore, come dimostra la nostra lettrice, spesso si preferisce lavorare in nero per prendere aiuti e sostegni statali o semplicemente perché c’è il desiderio di non pagare le tasse sul lavoro. Infatti va detto che le tasse su un rapporto di lavoro le paga sia il datore di lavoro che il lavoratore. E nel settore domestico questa considerazione è ancora maggiore perché il datore di lavoro non ha la funzione del sostituto di imposta. Significa che la badante deve provvedere a chiudere la partita annuale con il fisco, da sola con le dichiarazioni dei redditi.

Ecco perché il lavoro nero nel settore domestico è diffuso

Continuare a prendere la Naspi e arrotondarla con lo stipendio derivante dal lavoro nero. Se questo è il motivo per cui la badante della nostra lettrice pretende di restare irregolare, va detto subito che si tratta di una pratica illecita. Senza dubbio la Naspi potrebbe essere un motivo assolutamente valido e tra quelli più gettonati da parte del lavoratore che vuole lavorare in nero. Ma potrebbe essere anche il reddito di cittadinanza o qualsiasi altra prestazione che si perde nel momento in cui si torna a lavorare.

In linea di massima una lavoratrice che lavora in nero commette un atto illecito alla pari della datore di lavoro che la tiene a lavorare in queste condizioni. Dal punto di vista sanzionatorio però i rischi maggiori li corre il datore di lavoro. Infatti è quest’ultimo che potrebbe essere sanzionato pesantemente nel caso di controllo e nel caso in cui esca fuori che la badante in questione effettivamente lavorava in nero.

La lavoratrice porrà sempre dire, davanti alle autorità competenti, che è stato il datore di lavoro a non volerla assumere. Perché evidentemente non voleva pagare le tasse, i contributi previdenziali e non voleva pagare i commercialisti per le buste paga. Ed il linea generale quasi sempre gli ermellini dei tribunali del lavoro credono a questa teoria.

Badante in nero? Ecco le conseguenza

Tenere una badante in nero innanzitutto espone la famiglia ad una situazione particolare che si chiama mancata comunicazione di iscrizione all’INPS del rapporto di lavoro. Infatti sulla famiglia che assume si abbatte subito l’obbligo di registrare il rapporto comunicando tutti i dati necessari all’Istituto nazionale di previdenza sociale Italiana. La responsabilità di questa comunicazione ricade tutta nei confronti dei datori di lavoro e quindi della famiglia. Che pertanto diventa, a logica, responsabile della mancata assunzione regolare della lavoratrice. E già questa mancata comunicazione all’INPS espone la famiglia ad una sanzione pecuniaria che va da 200 a 500 euro.

Ma in alcuni casi la mancata iscrizione delle lavoratrici all’INPS, che risulterebbero quindi prive di qualsiasi copertura e tutela sia previdenziale che assistenziale, può portare la direzione territoriale del lavoro a comminare una sanzione che può arrivare anche a 2.000 euro per ogni badante non assunta regolarmente. Inoltre queste sanzioni aumentano in base alle giornate di lavoro in nero che la badante ha svolto. Infatti ogni giornata di attività irregolare che un lavoratore ha svolto in una situazione di questo genere può portare ad un incremento per la sanzione pari a 150 euro al giorno.

I contributi INPS, altre sanzioni se la badante è in nero

Assumere una badante prevede il versamento dei contributi da parte della famiglia. I contributi costano e usare questi escamotage per non pagarli è una delle motivazioni che a volte spingono le famiglie a preferire il nero ad un’assunzione regolare. Una volta che emerge il lavoro nero perché la famiglia finisce sotto controllo, anche i contributi non versati in precedenza rischiano di produrre spiacevoli conseguenze per la stessa famiglia.

Anche in questo caso ci sono sanzioni pesanti che vanno dal 30% al 60% del dei contributi annui evasi. Una multa minima da 3.000 euro che però non evita per la famiglia di dover comunque versare i contributi precedentemente evasi per tutti i periodi di lavoro svolti dalla badante, ma in nero.

Per la lavoratrice restituzione delle somme indebitamente percepite

Da un punto di vista della lavoratrice invece i rischi si riducono sostanzialmente all’obbligo di restituire le eventuali prestazioni assistenziali percepite durante l’attività in nero.  In pratica la diretta interessata potrebbe rischiare di dover versare indietro le mensilità di Naspi o di reddito di cittadinanza non spettanti in quanto era effettivamente in servizio. Per il datore di lavoro invece, ai rischi amministrativi già citati non possono che aggiungersi anche dei rischi penali in determinate circostanze.

Solo a titolo di esempio infatti una lavoratrice tenuta in nero non è coperta nemmeno dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. E se si fa male durante le ore di lavoro potrebbe esporre nei casi più gravi a condanne penali per il datore di lavoro e quindi per la famiglia che l’ha assunta. Ma penale diventa anche il rischio per chi assume una lavoratrice straniera priva dei permessi di soggiorno in Italia. Infatti la legge è chiara da questo punto di vista. Le normative fanno divieto a qualsiasi azienda o singolo di assumere o tenere alle dipendenze un lavoratore privo della documentazione necessaria per essere assunto in Italia.