Una riforma delle pensioni, per poter essere definita davvero equa, deve considerare molteplici aspetti. Non è sufficiente introdurre una singola nuova misura pensionistica che consente di anticipare la pensione rispetto ai requisiti ordinari, come qualcuno sostiene. In effetti, una quota 41 per tutti non basterebbe, perché così facendo si anticiperebbe la pensione solo per alcuni lavoratori, escludendone molti altri. È necessario altro per superare la riforma Fornero.

La riforma delle pensioni, 41 anni di contributi per tutti, 37 anni per lavori pesanti

Oggi un nostro lettore ci presenta una sua particolare proposta di riforma, una serie di interventi che, secondo lui, possono rivoluzionare il sistema pensionistico italiano.

“Buongiorno, sono sempre attento a ciò che scrivete e, pur avendo solo 55 anni, sono molto interessato, più per curiosità che per motivi personali, alle varie ipotesi di riforma delle pensioni. Il mio lavoro di magazziniere in una grande azienda, che svolgo da quando avevo 25 anni, non è riconosciuto come logorante, ma a mio avviso è piuttosto pesante. Ogni giorno mi occupo di caricare e scaricare pacchi, cartoni, casse, scatole, redigere bolle e ricevute, e così via. Non può essere definito un lavoro leggero, soprattutto perché si ripete ogni giorno allo stesso modo. Sono giovane per la pensione ma non vorrei essere considerato giovanissimo.

Secondo me, dovrebbero riformare il sistema inserendo, magari, la quota 41 per tutti come alternativa alla pensione anticipata, anche con calcolo contributivo, lasciando libertà di scelta su quando andare in pensione o restare a lavorare. Ma per i lavori pesanti, sia quelli attualmente considerati gravosi e usuranti sia nuovi (compreso il mio), si dovrebbe permettere l’uscita con 37 anni di contributi. Propongo 37 anni perché 35 sono già utili oggi per diverse misure. Anche in questo caso, prevedendo un calcolo contributivo della pensione e fissando a 60 anni l’età minima per andare in pensione. Sarebbe un modo davvero equo di permettere, a chi fa un lavoro duro, una dignitosa uscita.

Le soluzioni per superare una volta per tutte la riforma Fornero

Di lettori che propongono diverse soluzioni per andare in pensione ce ne sono davvero tanti ogni giorno. Evidentemente, la situazione attuale del sistema pensionistico non è soddisfacente se tante persone chiedono un ritocco alle regole. Non ci stancheremo mai di sottolineare come, dal 2012 ad oggi, molte cose siano cambiate e per i lavoratori la pensione sia diventata un vero miraggio.

Dai 40 anni di contributi delle pensioni di anzianità si è passati ai 42,10 anni per le pensioni anticipate (senza considerare i 3 mesi di finestra che costringono molti a lavorare fino a 43,1 anni di contributi). Dai 60 o 65 anni di età, rispettivamente per donne e uomini, si è passati ai 67 anni per le pensioni di vecchiaia.

Le misure tampone introdotte dal 2012 a oggi sono state a loro volta inasprite: l’Ape sociale è partita dai 63 anni ed oggi è arrivata a 63,5; l’Opzione donna è oggi ristretta a poche categorie di lavoratrici, con l’età minima passata da 58 a 61 anni; e poi, la quota 100 con 62 anni di età e 38 anni di contributi è diventata quota 103, con 62 anni di età e 41 di contributi. Chi non rientra in queste misure straordinarie e temporanee, deve rifarsi ancora alle regole introdotte dal 2012 dalla riforma Fornero, aggiungendo i peggioramenti successivi dovuti alle aspettative di vita.

Quota 41 non basta, ecco cosa dovrebbe avere il sistema pensioni italiano

Il quadro descritto non fa altro che dimostrare come oggi le pensioni siano un autentico miraggio da centrare. Poco c’è per chi svolge un lavoro pesante, perché le differenze sono minime rispetto a chi svolge un lavoro leggero, ammesso che tale lavoro esista. Ecco perché la quota 41 per i precoci o l’Ape sociale non bastano per considerare equo un sistema previdenziale che dovrebbe permettere a chi svolge un lavoro pesante di uscire prima.

La quota 41 per tutti richiede un avvio di carriera precoce, con almeno 12 mesi di versamenti prima dei 19 anni di età. Chi non rispetta questo requisito, o continua a svolgere un lavoro pesante (magari in edilizia) fino ai 43 anni e un mese di contributi. O fino ai 67 anni di età.

Ecco perché la soluzione indicata dal nostro lettore ci piace. Perché effettivamente dovrebbe nascere una quota 41 per tutti senza limiti anagrafici, anche se con il calcolo contributivo e penalizzante. Sarebbe il lavoratore, stanco di svolgere l’attività pesante, a scegliere se lasciare il lavoro con 41 anni di contributi. O continuare per ottenere una pensione più alta.

La flessibilità e il calcolo contributivo della prestazione per la riforma delle pensioni

La quota 41 per tutti è una misura su cui la Lega si è sempre spesa. Quindi non rappresenta una novità da questo punto di vista e potrebbe davvero essere una soluzione. Una via di uscita utile a mitigare le difficoltà di molti a lasciare il lavoro. Perché non permettere a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi prendendo meno di pensione?

Se uno non ha più voglia e forza, ecco che accettare tagli potrebbe non essere un fardello difficile da sopportare. Ciò che riteniamo interessante è il fatto che il lettore citi un’alternativa a 37 anni di contributi per chi svolge un lavoro logorante. Magari partendo dai 60 anni di età con una sorta di nuova quota 97.

Un lavoratore che svolge un lavoro pesante dovrebbe essere lasciato libero dai 60 anni di scegliere cosa fare in futuro. Secondo noi, alla nota quota 41 per tutti e a questa nuova quota 97, dovrebbe essere aggiunta anche la facoltà flessibile di andare in pensione sempre con 20 anni di contributi. Magari con una misura che parta dai 65 anni. Liberando anche in questo caso i lavoratori da vincoli troppo ristretti di attesa per accedere alla quiescenza.