Con l’avvicinarsi dell’approvazione della Legge di Bilancio 2023, arriverà anche la proroga dello smart working fino al 31 marzo 2023.

L’ultimo emendamento, approvato in Commissione Bilancio della Camera, coinvolge, però, solo i lavoratori cosiddetti “fragili” ossia chi, secondo apposita certificazione medica, risulta affetto da una grave malattia o disabilità.

Per tutti gli altri, genitori di figli minori di 14 anni compresi, si tornerà a lavorare definitivamente in ufficio. E lo si farà in giorni stabiliti o tutta la settimana, a discrezione delle politiche adottate internamente dalle aziende.

Nonostante questo emendamento, secondo Osservatori.net, lo smart working continuerà ad essere utilizzato il prossimo anno nelle grandi imprese con un’ipotesi di incremento anche nel settore pubblico.

L’intervista

Abbiamo parlato dell’evoluzione dello smart working nel corso del tempo, dei suoi vantaggi e difetti e di come la sua implementazione possa migliorare il mondo del lavoro pubblico e privato con Marco Carlomagno, giornalista e segretario generale della Federazione dei Lavoratori Pubblici e delle Funzioni Pubbliche (FLP),oltre che coautore del libro “Dimensioni dello smart working. Sfide ed esperienze per una transizione sostenibile”

Laureato in giurisprudenza, economia aziendale e sociologia, Carlomagno è attualmente impiegato presso l’Agenzia delle dogane italiane. Per la quale è anche membro del “Comitato di garanzia per la parità di genere, il miglioramento del benessere dei lavoratori e contro le discriminazioni”. E’ anche stato componente del Gruppo di monitoraggio della “Sperimentazione dello smart working” della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Partiamo dal principio: come si è evoluto lo smart working e il telelavoro nel corso del tempo, in Italia?

Il telelavoro è una normativa che esiste da 20 anni e si basa sull’idea che il dipendente abbia una postazione fissa ma dislocata in un luogo diverso dalla sede aziendale, di solito, l’abitazione del lavoratore.

Lo smart working vero e proprio, invece, per definizione, non è solo lavorare da casa: piuttosto, è un modo diverso di intendere il lavoro che presuppone una diversa organizzazione delle mansioni da svolgere, in autonomia e per obiettivi da raggiungere entro un tempo stabilito con l’azienda.

Inizialmente, è stato adottato più per venire incontro alle esigenze personali dei singoli lavoratori, senza intervenire sul metodo. Fattore indispensabile affinché il lavoro agile sia adottato per un numero rilevante di dipendenti e funzioni davvero.

Il lavoro agile, quindi, si è diffuso nelle aziende abituate a lavorare per obiettivi, senza però metterne in discussione i precedenti assetti organizzativi e procedurali. Inoltre, lo smart working fa fatica ad essere innestato in modo capillare in Italia e in tutte le realtà aziendali, in particolare nelle PMI.

Il lavoro agile, prima dell’emergenza pandemica, è stato adottato anche nelle PA sulla base della normativa voluta nel 2017 dall’ex Ministra Madia, limitata ad alcune Amministrazioni e con numeri molto contingentati.

Qualcosa in più è stato fatto negli anni con il telelavoro, adottato in alcune Amministrazioni centrali tipo Agenzia Entrate, MEF, Sviluppo economico e altre. Ma tale sperimentazione era finalizzata a cercare di dare risposta ad alcune esigenze di natura familiare e di conciliazione vita-lavoro.

Il lavoro agile nel periodo emergenziale, nella fase più dura del lockdown, è stato invece indirizzato essenzialmente alla deroga dei paletti previsti dalla norma, per permetterne un uso diffuso ai fini della prevenzione del contagio ed allo stesso tempo cercando di garantire i livelli di servizio erogati a cittadini e imprese.

E nella seconda fase?

Nella seconda fase emergenziale le norme sopravvenute, su input della Ministra Dadone, hanno cercato di definire gli ambiti di applicazione post emergenziali, individuando uno strumento organizzativo quale quello dei POLA (Piani Organizzativi per il Lavoro Agile) che dovevano essere di impulso per le Amministrazioni nel superare le resistenze interne.

Bisognava definire in modo compiuto le attività “smartabili”, individuando anche una percentuale minima di attribuzione del personale adibibile a tali attività con una percentuale comunque applicabile pari al 30%per le Amministrazioni che non avessero predisposto i Pola.

Questo assetto è stato rivisto dal Ministro Brunetta con l’abbassamento della percentuale minima al 15%. E con l’affievolimento dell’obbligo dei POLA, ora previsti all’interno del Piano delle performance delle Amministrazioni (PIAO).

Come commenta gli ultimi provvedimenti sullo smart working del Governo?

Il Ministro Zangrillo, proveniente dal privato ed essendo stato per anni un manager a capo della gestione delle risorse umane di molte grandi aziende, ha una visione molto più laica di quella del suo predecessore.

Il Ministro nella precedente legislatura è stato tra i co-firmatari in Commissione Lavoro dello schema di disegno di legge sul lavoro agile. Schema che mirava ad adeguare alcune previsioni normative dell’attuale impianto risalente all’anno 2017.

Al momento, vi sono dichiarazioni programmatiche alle Camere e alcune interviste rilasciate alla stampa. Ciò per manifestare la volontà di riconoscere tale modalità lavorativa come innovativa. E, dunque, da implementare anche nel pubblico.

Auspichiamo che vi possano essere a breve concrete indicazioni che superino le impostazioni restrittive contenute nei DM di Brunetta. E che lascino alle singole Amministrazioni, e alla loro autonomia, senza vincoli e lacciuoli, l’organizzazione della prestazione lavorativa.

È chiaro, quindi, che una nuova regolamentazione normativa del lavoro agile non può limitarsi unicamente a dettare regole. Seppur importanti e in materia di accordo individuale e diritto alla disconnessione. Materia, tra l’altro, strettamente legata anche alla dinamica negoziale in quanto rientranti nella regolamentazione del rapporto di lavoro.

A mio parere, l’intervento legislativo è utile per aggiornare e migliorare il quadro normativo. Ma deve lasciare ambiti e spazi alla contrattazione collettiva nazionale e a quella integrativa. Questo per definire gli ambiti generali e le garanzie capaci di valorizzare la contrattazione e non di azzerarla o renderla difficoltosa e limitata.

Perché lo smart working dopo la pandemia è stato adottato solo da parte di alcune aziende?

Nel privato e, soprattutto nei settori ad alta innovazione tecnologica, è un’esperienza che è stata mantenuta ed è vista con favore non solo dal personale.

Anche i vertici aziendali ne hanno apprezzato i benefici in termini di maggiore produttività, minori assenze. E, cosa non secondaria, possibili economie in termine di gestione e conduzione degli stessi posti di lavoro.

Le grandi aziende sono andate avanti su questa strada. La Ducati, ad esempio, ha adottato lo smart working per i suoi dipendenti, dando loro autonomia e fiducia. Inoltre, i dipendenti Ducati, pur essendo inquadrati sotto contratto metalmeccanico, lavorano solo 30 ore anziché 40, a parità di stipendio.

Grazie a questa politica aziendale, nel semestre da gennaio a giugno 2022 i ricavi dell’azienda sono cresciuti del 5,4%. Passando da 514 a 542 milioni di euro, il valore più alto mai registrato dalla casa motociclistica nei primi sei mesi dell’anno.

Ducati si conferma, quindi, un modello di welfare aziendale e l’eccellenza mondiale assoluta del Made in Italy.

E gli altri?

Non si può dire lo stesso delle PMI, dove queste politiche tardano a instaurarsi e dove prevale la convinzione che si è sempre lavorato in ufficio o in presenza e che bisogna tornare a quel tipo di normalità.

Ma la cosiddetta normalità precedente la pandemia non potrà mai tornare perché il mondo del lavoro non è più quello del periodo pre-Covid. Bisogna arrendersi a questa verità se si vuole davvero progredire. E rimanere al passo con gli altri Paesi d’Europa a livello di innovazione e di welfare aziendale.

Inoltre, c’è il pregiudizio che non tutti i lavori sono adatti allo smart working quando l’esempio citato prima della Ducati mostra il contrario.

Nel pubblico, scontiamo ancora gli effetti negativi dell’impostazione Brunetta. Per cui per tutto il 2022 abbiamo assistito sostanzialmente a una proroga della regolamentazione voluta con il cosiddetto rientro in presenza. E quindi il lavoro agile è stato mantenuto, ma depotenziato. Ridotto unicamente a un benefit di conciliazione vita-lavoro, concesso solo uno o due giorni settimanali.

Questa impostazione difensiva, che ha poco a che fare con la logica del lavoro agile, ha frenato la spinta necessaria all’innovazione e alle modifiche organizzative. Che sono rimaste a com’erano prima del lockdown e, quindi, in gran parte ormai obsolete.

Quali sono i vantaggi dello smart working?

I pregi sono di natura organizzativa, di efficienza e di miglioramento del benessere organizzativo. Ma lo smart working non è solo questo. Il lavoro agile è uno strumento fondamentale per il lavoro attuale e del futuro e l’esperienza di questi anni, pur parziale e sperimentale, dovrebbe divenire una modalità importante di svolgimento della prestazione lavorativa.

A seguito della crisi di approvvigionamento energetico che ha comportato un forte innalzamento dei prezzi legati ai combustibili e delle bollette di luce e gas e dell’emergenza climatica che ha portato all’invivibilità delle nostre città per le alte temperature e ai gravissimi fenomeni idrogeologici, come da ultimo l’alluvione nelle Marche e ad Ischia, abbiamo chiesto a tutte le Amministrazioni e agli Enti di utilizzare e incentivare il lavoro agile in tutti i casi e per tutte le attività che potevano essere svolte in modalità smart working e da remoto.

Misure, queste, necessarie per permettere un risparmio di carburante e le conseguenti spese sostenute per raggiungere gli Uffici dai lavoratori e dall’utenza.

Un beneficio a tutto campo, dunque?

Certo. In un’ottica non solo di efficienza, ma anche di risparmio dei costi sostenuti dai lavoratori e dalle Amministrazioni. Ciò in un momento in cui l’abnorme e ingiustificato aumento dei prezzi petroliferi, in particolare del gasolio da autotrazione, sta facendo lievitare ogni giorno i prezzi dei beni di consumo. Con conseguenze dirette sul potere di acquisto di lavoratori e pensionati.

Per non parlare del contributo ad alleggerire il traffico nelle ore di punta, diminuire le emissioni di ossido di carbonio, conciliare i tempi di vita e di lavoro in periodi di chiusura delle scuole e alla mancanza di servizi alternativi.

Secondo uno studio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, infatti, l’implementazione del lavoro agile (2-3 giorni alla settimana) abbatterebbe fino a 2,5 milioni di tonnellate di CO2. Oltre che a ridurre, complessivamente, di circa il 30% i costi energetici. Oggi, purtroppo, lo smartworking nel nostro Paese è tornato a livelli sotto la media europea.

E gli eventuali svantaggi?

Tra le criticità lamentate dello smartworking, vi sarebbe la mancanza di socialità all’interno del luogo lavorativo e l’impossibilità di condividere difficoltà sul lavoro e di trovare possibili soluzioni lavorative. Il lavoratore in smart working avrebbe, infatti, un minore contatto diretto con i propri colleghi o direttamente con il proprio datore di lavoro.

Tuttavia, disponiamo di strumenti che possono contrastare gli effetti negativi derivanti da un’applicazione puramente teorica dello smartworking: l’alternanza lavoro in presenza e lavoro agile (il cosiddetto lavoro ibrido) e l’utilizzo delle tecnologie e della video conferenza oltre che un accorto utilizzo delle fasce di contattabilità e il diritto alla disconnessione .

La scelta dovrebbe ricadere, quindi, sul lavoratore. Questi di comune accordo con il datore di lavoro sceglie la modalità lavorativa più confacente alle sue esigenze. Sempre nel rispetto, ovviamente, del raggiungimento degli obiettivi aziendali e professionali pattuiti.

Ritengo il lavoro agile qualcosa di più di un pur importante strumento di conciliazione vita lavoro, o di efficientamento energetico.

È un cambio di paradigma, che investe l’organizzazione del lavoro e dei processi, i modelli organizzativi, le sfere di autonomia e di responsabilità, il lavoro per obiettivi, lo sviluppo professionale.

Qual è il rapporto tra smart working e PA?

Come detto in precedenza, il lavoro agile è un fattore di modernizzazione delle Pubbliche amministrazioni sia ai fini del superamento del gap digitale che ancora affligge molte amministrazioni, che per innovare i modelli organizzativi e gli stessi processi lavorativi che debbono essere sempre più orientati al soddisfacimento dei bisogni di cittadini e imprese.

Per poter efficacemente implementare il lavoro agile è necessario operare su più direttrici.

La prima è sicuramente quella di una vera rivoluzione digitale che passa attraverso interventi infrastrutturali quali quelli della banda larga su tutto il territorio nazionale, le dotazioni informatiche delle Amministrazioni in termini di numero e di qualità, la digitalizzazione dei processi in gran parte ancora cartacei, la creazione e l’interoperabilità delle banche dati.

A questo si deve accompagnare un processo di modifica organizzativa che adegui gli assetti alle nuove tecnologie e alle nuove forme di lavoro.

Possibili soluzioni?

Bisogna accorciare i livelli di responsabilità e diminuire l’eccessiva gerarchizzazione delle strutture che in questi anni è servita solo a permettere il proliferare di ben remunerate posizioni di vertice, ma hanno aumentato i livelli di burocrazia e la deresponsabilizzazione degli addetti.

Bisogna privilegiare un’organizzazione più orizzontale e meno verticale, in cui aumentino i livelli di responsabilità, il lavoro per team. In cui si premino le innovazioni, le proposte, si valorizzano i tanti talenti presenti.

Valorizzare la dirigenza, aumentando i profili di managerialità e di capacità di gestire processi e dinamiche organizzative, e il lavoro pubblico, mediante un sistema di valutazione basato sui risultati e non sugli adempimenti o sulla mera presenza, riconoscendo il diritto alla carriera, a mettersi in gioco e a migliorare il proprio ruolo nell’organizzazione.

Valori oggi del tutto disconosciuti dalla sconsiderata politica di questi decenni basata non solo sulla denigrazione del lavoro pubblico. Ma anche sul blocco dei salari, delle carriere, dei riconoscimenti professionali.

Cosa fare allora?

È necessario ridisegnare la mappa dei processi lavorativi e le professionalità necessarie, prevedendo un massiccio inserimento mirato di nuova forza lavoro e la riconversione, la riqualificazione di quella oggi presente, mediante processi di formazione diffusa e permanente.

In tale ambito vanno ridisegnati i fabbisogni delle Amministrazioni, le loro articolazioni e le diverse missioni e competenze, riscritti gli ordinamenti professionali per adeguarsi alle sfide del cambiamento.

In buona sostanza, appare di tutta evidenza come non basti adeguare le norme o modificarle per cambiare il modo di lavorare e riconoscere il lavoro agile come una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ma è necessario un vero cambio di paradigma.

Infine, bisogna arrivare a considerare il lavoro agile come una formidabile modalità di innovazione organizzativa e di modernizzazione delle strutture, non come uno strumento necessario in certe fasi emergenziali.

Il futuro del lavoro sarà lo smart working sia per privati sia per la PA?

Ritengo che il futuro, anche prossimo, sarà caratterizzato da un maggiore ricorso alle forme di lavoro agile. Perché l’ingresso prepotente della tecnologia nel modo di lavorare non potrà essere limitato o evitato da concezioni burocratiche tipiche del ‘900. Nonostante resistenze che soprattutto nel settore pubblico continuano a manifestarsi per una visione miope. E anche per una mancata capacità direzionale e di strategia di parte della dirigenza.

Ma una cosa non si potrà negare: il valore aggiunto in termini di produttività e di fruibilità dei servizi. E i benefici in termini di vivibilità e di migliore conciliazione vita lavoro che, alla fine, comunque prevarranno.

La parola a Larry Fink

Larry Fink, numero uno di BlackRock, il più grande asset manager globale, con oltre 10mila miliardi di dollari in gestione, nella consueta lettera di inizio anno ai CEO, sottolinea le necessità di un capitalismo più responsabile.

Otto pagine in cui uno degli uomini più potenti del mondo, tra le altre cose, esorta le aziende a rivedere i rapporti con i lavoratori.

Sebbene l’uscita dalla pandemia per le aziende sia un’occasione di ricostruzione, i CEO si trovano davanti a un paradigma radicalmente diverso da ciò a cui eravamo abituati. La normalità prevedeva che i dipendenti andassero in ufficio cinque giorni alla settimana. Raramente si parlava di salute mentale sul luogo di lavoro e i salari della manodopera a basso e medio reddito crescevano a malapena. Quel mondo non esiste più”.

Le società che non si adeguano a questa nuova realtà, e non danno seguito alle istanze dei loro dipendenti, lo fanno a loro rischio e pericolo.”

Ringraziamo Marco Carlomagno, mediatore, docente e direttore scientifico di grande fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie secondo D.I. 180/2010 e D.lgs 28/2010. Con approvazione del Ministero della Giustizia e componente del consiglio direttivo di “Associazione Italia4Blockchain”, membro fondatore di INATBA – International Association for Trusted Applicazioni blockchain.