Può sembrare la domanda più paradossale che esista, eppure sono molti i contribuenti italiani che si chiedono se si può lavorare dopo essere andati in pensione. Perché un lavoratore che aspira con ansia al meritato riposo dopo una lunga carriera lavorativa dovrebbe chiedersi questo? Perché voler andare in pensione per poi continuare a lavorare? In alcuni casi arrotondare il reddito della pensione con uno stipendio o un lavoro qualsiasi può essere utile. Soprattutto per chi non è riuscito a prendere una pensione che risulta sufficiente per vivere.

Molto cambia da misura a misura

In genere questa possibilità esiste, ma non per tutte le misure. Perché alcune misure che negli ultimi anni hanno fatto capolino nel sistema pensionistico nostrano, finiscono proprio con il prevedere il divieto assoluto di lavorare in pensione. O, al massimo, consentono solo di svolgere alcune particolari attività. Ma parliamo di misure di pensionamento anticipato. Evidentemente il legislatore ha pensato che se si offre l’occasione di andare in pensione prima e la si coglie, allora vuol dire che non si ha più la forza per lavorare.

“Buonasera, sono un lavoratore che si accinge ad andare in pensione perché ha raggiunto i 43 anni e un mese di contributi. Ho 64 anni e mi sento ancora in forze e potrei continuare a lavorare. Se esco dal lavoro e vado in pensione, secondo voi posso lo stesso continuare a svolgere qualche lavoro?”

“Gentile redazione, volevo delle delucidazioni in merito al divieto di cumulo del reddito da lavoro con la pensione. Sto valutando l’idea di andare in pensione con la quota 103, ma volevo prendere la mia pensione e continuare a lavorare. Magari aprendo una piccola attività da idraulico. Naturalmente lascio la mia azienda che fa lo stesso lavoro, ma negli anni ho accumulato esperienza e pure clienti, perché la mia azienda piccoli lavoretti di idraulica non li vuole fare preferendo grandi cantieri e interventi impiantistici più che di manutenzione.

Come posso fare?”

Cosa dice il Decreto 112 del 2008 in materia di cumulo dei redditi da lavoro con i redditi da pensione

Due quesiti interessanti quelli dei nostri lettori, che aprono a due differenti risposte e, soprattutto, riguardo a due differenti misure di pensionamento. Il primo quesito parla di pensione anticipata ordinaria. Cioè quella che le donne centrano con 41 anni e 10 mesi di contributi e gli uomini con 42 anni e 10 mesi. Nessuno obbliga questi soggetti a dire stop al lavoro una volta raggiunte quelle carriere contributive, anche se sono effettivamente ragguardevoli.

Ma se da un lato nessuno è obbligato ad andare in pensione, dall’altro lato nessuno può obbligare il contribuente a smettere di lavorare. L’assegno pensionistico, che derivi dalle pensioni anticipate ordinarie, dalle vecchie pensioni di anzianità o dalle pensioni di vecchiaia classiche, non subisce variazioni di importo se il pensionato dopo la quiescenza continua a lavorare. Il DL n° 112 del 2008 infatti ha stabilito che redditi da lavoro e redditi da pensione sono cumulabili.

Le misure ordinarie permettono di restare al lavoro anche dopo la quiescenza

Grazie al decreto prima citato, e quindi a far data dal 1° gennaio 2009, il cumulo di questi due redditi di diversa natura è assolutamente possibile. Ma se per il sistema misto o retributivo, non ci sono eccezioni o condizioni da rispettare, per il sistema contributivo bisogna rientrare in determinati parametri. Sono vincoli praticamente inutili se si considerano i requisiti in vigore per le pensioni anticipate o di vecchiaia.

Infatti, per i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, redditi da pensione e redditi da lavoro si possono cumulare ma solo se l’interessato ha almeno 65 anni di età (60 per le donne) o 40 anni di contributi versati. Ma la pensione di vecchiaia si centra a 67 anni e, pertanto, il vincolo dei 65 anni per gli uomini o i 60 per le donne è largamente superato.

Come lo è l’altro vincolo alternativo dei 40 anni di contribuzione, perché per le anticipate ne servono 41,10 per le donne e 42,10 per gli uomini.

Occhio alle misure con le quote o all’invalidità, perché non sempre il cumulo è ammesso

Diverso il discorso per chi si accinge a scegliere la quota 103 per la pensione. E lo stesso vale per chi in passato è uscito con quota 100 o quota 102. Perché si tratta di misure che prevedono il divieto di arrotondare la pensione con un lavoro. Vincolo che vale nel 2023 anche per chi ha cristallizzato il diritto alla quota 102 scaduta il 31 dicembre 2022 o alla quota 100 scaduta il 31 dicembre 2021. L’unica possibilità di arrotondare la pensione con un reddito da lavoro è quella del lavoro autonomo occasionale fino al tetto massimo di 5.000 euro annui. Una eccezione che secondo noi può valutare il nostro secondo lettore.

Se è vero che vuole fare l’idraulico e svolgere piccoli lavoretti per i clienti che ha mantenuto durante la sua attività lavorativa in azienda, la via del lavoro autonomo occasionale può essere quella valida. Va ricordato che il divieto di cumulo per le pensioni con le quote vale per tutti gli anni di anticipo rispetto all’età pensionabile ordinaria. Significa che una volta arrivati a 67 anni, gli interessati possono tornare liberamente a lavorare e continuare a percepire la pensione senza vincoli.

Per invalidi o inabili quali regole sul cumulo di pensione e lavoro?

Se un pensionato con quota 103, quota 102 o quota 100 viene scovato a lavorare, rischia innanzi tutto di perdere il diritto alla prestazione. E poi rischia di dover restituire i ratei di pensione percepiti nei mesi precedenti, a partire da quello di gennaio dello stesso anno in cui è tornato a lavorare. Il cumulo dei redditi da lavoro con l’assegno ordinario di invalidità, invece, è perfettamente valido. Ma ci sono dei vincoli reddituali da rispettare.

Il lavoro svolto dal titolare dell’assegno ordinario di invalidità finisce con il penalizzare di importo questa prestazione.

Se il reddito conseguito lavorando supera di 4 volte il trattamento minimo INPS l’assegno ordinario di invalidità scende del 25%. Il trattamento minimo INPS è pari a 563,74 euro per il 2023. Significa che se il reddito da lavoro supera 2.254,96 euro, il diretto interessato perderà questa parte di assegno ordinario di invalidità. E se invece supera i 2.818,70 euro, cioè supera le 5 volte il trattamento minimo, l’assegno è decurtato della metà. Niente cumulo per la pensione di inabilità. Anche perché appare logico che chi prende un sostegno perché inabile al lavoro, non dovrebbe poter lavorare più. A tal punto che per questa prestazione l’INPS richiede la cessazione dell’attività lavorativa sia per i dipendenti che per gli autonomi (con cancellazione da albi, registri e così via dicendo).