Tra i contrari al reddito di cittadinanza, quasi pronto al debutto in Italia, più di uno ha portato come prova l’esempio fallimentare della Finlandia? Ma è scontato che da noi succederà lo stesso? Che cosa non ha funzionato in Finlandia e quali sono le differenze con l’Italia? Facciamo chiarezza per evitare alcune bufale che stanno circolando sull’argomento.

Il reddito di cittadinanza è durato due anni in Finlandia

Attenzione però: il paragone è coerente?
Il progetto finlandese ha debuttato il primo gennaio 2017 e si è concluso il 31 dicembre del 2018.

In questa sperimentazione il governo ha scelto un campione di 2 mila disoccupati tra i 25 e i 58 anni ai quali riconoscere un sussidio di 560 euro non tassati, indipendentemente dal fatto che lavorassero o meno. Il reddito di cittadinanza finlandese non era dunque un sussidio per disoccupati. Tanto è vero che anche chi nel frattempo avesse iniziato a lavorare continuava a percepire l’assegno. L’idea di fondo era quella di fornire uno strumento economico per essere incoraggiati ad attuare le proprie priorità o mettere in piedi i propri progetti con una base di sicurezza economica.

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Dall’analisi è emerso che durante il primo anno di introduzione il sostegno economico non ha spinto i disoccupati a cercare un lavoro. L’impatto sui livelli di occupazione quindi è stato minimo. I salari medi non sono aumentati. Quello che invece è migliorato, come hanno confermato i sondaggi telefonici, è stato il benessere generale e l’abbassamento del livello di stress. Tra gli esperti c’è anche chi adduce le ragioni del flop del reddito di cittadinanza in Finlandia al periodo di tempo concesso considerato troppo breve per vedere risultati concreti. Così formulato, inoltre, come confermato da un rapporto Ocse, il piano del governo era troppo costoso. Stupisce peraltro che la misura era stata voluta da un governo conservatore di centro destra, favorevole alle misure di austerità.