“La domanda comune che viene chiesta nel business è: “perché?” Questa è una buona domanda, ma una questione altrettanto valida è: “perché no?””, afferma Jeff Bezos. Tanti sono i dubbi che assalgono prima di aprire una attività. Ad esempio se è la strada giusta da percorrere, risorse economiche e stime sui guadagni.

Se tutto questo non bastasse bisogna fare i conti anche con dei vincoli burocratici. A seconda del tipo di lavoro svolto, infatti, bisogna aprire o meno la partita Iva. Ma non solo, differisce la tassazione, contributi e così via.

Ma come funziona nel caso in cui si decide di diventare un lavoratore freelance? Ecco cosa c’è da sapere.

Freelance, quando bisogna aprire la partita Iva: i requisiti

Con il termine freelance si fa riferimento a un lavoratore autonomo che non è, pertanto, alle dipendenze di nessun datore. Nulla comunque vieta di essere anche un lavoratore parasubordinato o dipendente. Questo a patto di rispettare il divieto di concorrenza e conflitti d’interessi. Come funziona invece dal punto di vista fiscale? Bisogna aprire necessariamente la partita Iva oppure no? Ebbene, se l’attività è svolta in modo saltuario non è necessario aprire la partita Iva.

In tal caso i compensi sono considerati come redditi di lavoro autonomo ed è sufficiente emettere le ricevute con ritenuta d’acconto per lavoro occasionale. Non viene applicata, invece, l’Imposta sul valore aggiunto. Se i compensi sono superiori a 5 mila euro l’anno, il lavoratore autonomo occasionale ha l’obbligo di iscriversi alla gestione Separata Inps.

La situazione cambia se l’attività viene svolta in modo regolare, ovvero non saltuario. In tale circostanza è obbligatorio aprire la partita Iva. A tal proposito è bene sottolineare che gli adempimenti differiscono a secondo della categoria di appartenenza. Se si tratta di soggetti iscritti ad un albo professionale, infatti, bisogna iscriversi alla gestione previdenziale di categoria. In tutti gli altri casi l’iscrizione deve essere effettuata presso la gestione Separata dell’Inps.

Regime forfettario: i requisiti

In presenza di determinati requisiti i lavoratori autonomi titolari di partita Iva possono aderire al regime forfettario. Come si evince dal sito dell’Agenzia delle Entrate:

“Accedono al regime forfetario i contribuenti che nell’anno precedente hanno, contemporaneamente:

  • conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 85.000 euro (il precedente importo di 65.000 euro è stato così modificato dalla Legge di Bilancio 2023). Se si esercitano più attività, contraddistinte da codici Ateco differenti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi relativi alle diverse attività esercitate
  • sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto costituito da solo lavoro e quelle corrisposte per le prestazioni di lavoro rese dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Anche chi inizia un’attività può accedere al regime forfetario, comunicando nella relativa dichiarazione ai fini Iva di presumere la sussistenza dei requisiti”.

Aderire a tale regime permette di beneficiare di notevoli vantaggi. Ad esempio si è esonerati dall’Iva, dall’Irpef, dall’Irap e non si ha l’obbligo di tenuta dei registri contabili. Ma non solo, per i primi cinque anni di attività la tassazione è ridotta al 5%, anziché 15%.

Reddito imponibile per tassazione e contributi

Per stabilire l’importo del reddito imponibile su cui applicare la tassazione del 5% o del 15% si deve applicare al reddito lordo un coefficiente di redditività. Quest’ultimo differisce in base al tipo di attività svolta dall’86% al 40%. Anche per quanto riguarda i contributi, quest’ultimi si definiscono applicando al reddito imponibile una specifica aliquota che differisce in base alla categoria di appartenenza.

Se il libero professionista è privo di cassa professionale deve iscriversi e versare i contributi alla gestione Separata Inps.

  In questo caso non si applica un minimale di reddito su cui versare i contributi, ovvero si versa la contribuzione solamente in base al proprio guadagno. Se non si guadagna nulla, pertanto, non si paga nulla.

Per accreditare i mesi di contribuzione si prende, però, come riferimento il minimale di reddito applicato per le gestioni speciali Inps degli artigiani e dei commercianti, pari a 17.504 euro. Ovvero il soggetto interessato si vede accreditare un anno ai fini pensionistici solo se registra un reddito pari almeno al minimale annuo. Se il reddito imponibile è inferiore al minimale, invece, i mesi di contribuzione utili alla pensione sono ridotti in proporzione.