In applicazione del regime forfettario, non spetta l’aliquota ridotta del 5% bensì quella del 15% laddove la” nuova” attività avviata costituisca “mera” prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo in considerazione anche del mercato di riferimento. Lo ha ribadito l’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 161/E del 29 maggio 2020.

In primis le Entrate, ricordano che per chi apre partita IVA ed avendone i requisiti (comma 54 Legge n. 190 del 2014 e successive modificazioni) e non rientra in nessuna causa di esclusione (comma 57 Legge n. 190 del 2014 e successive modificazioni), può, per i primi 5 anni di attività, essere assoggettato ad aliquota d’imposta sostitutiva del 5% invece che del 15%.

Ciò, tuttavia, laddove siano rispettati congiuntamente le condizioni di cui al comma 65 della stessa Legge n. 190 del 2014, ossia:

  1. il contribuente non deve aver esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, altra attività artistica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;
  2. l’attività da esercitare in regime forfettario non deve costituire, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
  3. qualora venga proseguita un’attività svolta in precedenza da altro soggetto, l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del predetto beneficio, non sia superiore ai limiti di cui al comma 54 (ossia a 65.000 euro).

La conferma del precedente orientamento

L’Amministrazione finanziaria, conferma, quanto aveva già chiarito nella precedente Circolare n. 10/E del 2016, in cui, con riferimento alla condizione di cui al punto 2) affermava che il requisito ha  una finalità antielusiva, poiché mira ad evitare che il beneficio possa essere fruito da soggetti che si limitino a modificare la sola veste giuridica dell’attività esercitata in precedenza o dispongano, scientemente, la mera variazione del codice ATECO sfruttando il cambio di denominazione previsto per il “rinnovo” dell’attività.

Ad ogni modo, “la prosecuzione dell’attività deve essere valutata sotto il profilo sostanziale e non formale. A tal fine, pertanto, è indispensabile valutare se la nuova attività si rivolge alla medesima clientela e necessita delle stesse competenze lavorative. Ciò significa che ci sarà continuità quando il contribuente sceglierà di esercitare la medesima attività, svolta precedentemente come lavoratore dipendente rivolgendosi allo stesso mercato di riferimento. Si ritiene che la prosecuzione rilevi anche quando la cessazione del rapporto di lavoro avvenga per cause indipendenti dalla volontà del dipendente, tenuto conto che la norma in esame non fa riferimento a specifiche agevolazioni per i lavoratori in mobilità”.

Inoltre, resta fermo che “la continuità non sussiste quando la nuova attività o il mercato di riferimento sono diversi, ovvero quando la precedente attività abbia il carattere di marginalità economica, ossia il lavoro dipendente o assimilato sia svolto, in base a contratti a tempo determinato o di collaborazione coordinata o a progetto per un periodo di tempo non superiore alla metà del triennio”.