Licenziare. È come avere in pugno il destino di centinaia di persone e farlo piangere. C’è un potere sconfinato ma anche una suprema indelicatezza nel far piangere il destino“, afferma Fabrizio Caramagna. Ogni datore di lavoro avvia un’attività con l’intento di generare guadagni. Al fine di raggiungere i propri obiettivi si avvale del lavoro di dipendenti e collaboratori affidabili, in possesso delle competenze necessarie a ricoprire determinati ruoli.

Non sempre, però, le cose percorrono la via sperata. Può capitare, infatti, di scoprire che in realtà un lavoratore non sia idoneo a svolgere una determinata mansione o ancora peggio non abbia la voglia di lavorare.

A peggiorare la situazione eventuali momenti di crisi che possono impattare negativamente sull’azienda, costringendo il datore ad adottare misure drastiche, come ad esempio il licenziamento. Ma si può essere licenziati dopo tanti anni di lavoro? Ecco come funziona.

Dopo tanti anni di lavoro è possibile essere licenziati?

Essere licenziati è senz’ombra di dubbio una delle esperienze più tristi e drammatiche che un lavoratore possa affrontare. Si perde il diritto ad ottenere quel denaro necessario a sostenere se stessi e la propria famiglia. Ci si ritrova così a vivere dei momenti particolarmente complicati, soprattutto dal punto di vista della gestione finanziaria. Per questo motivo è bene sapere quali siano i propri diritti e quando è possibile opporsi a un licenziamento.

Lo sa bene una responsabile alle vendite presso una nota attività commerciale di divani e imbottiti di Latina, licenziata dopo circa venti anni di lavoro. Il motivo? Dopo diverse contestazioni disciplinari l’azienda ha ritenuto che la donna non avesse più i requisiti per ricoprire il ruolo per cui era stata assunta. L’avvocato della lavoratrice ha impugnato tale provvedimento, ritenendolo sproporzionato e avanzando l’ipotesi che in realtà, dietro al licenziamento, si nascondessero altre motivazioni, tra cui ragioni discriminatorie.

Alla fine della fiera il Tribunale di Latina ha dichiarato illegittimo il licenziamento, condannando l’azienda a risarcire la donna per i danni subiti in seguito all’ingiusto licenziamento.

Licenziamento per giusta causa o giustificato motivo: le differenze

Il datore di lavoro, quindi, non può licenziare per un semplice capriccio personale. Si tratta, d’altronde, di una decisione che stravolge la vita dei soggetti interessati e per questo motivo è fondamentale che venga presa solo se strettamente necessaria. In tale ambito si fa riferimento all’articolo 1 della legge numero 604 del 15 luglio 1966, in base a cui:

“Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo“.

Entrando nei dettagli, un datore può avvalersi del licenziamento per giusta causa nel caso in cui si verifichino fatti talmente gravi da rendere praticamente impossibile proseguire con il rapporto lavorativo. Basti pensare ad assenza ingiustificata, minacce o furti. Tutti comportamento che fanno, inevitabilmente, venire meno il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore. È possibile optare per il licenziamento per giustificato motivo, invece, in caso di inadempimento da parte del lavoratore agli obblighi contrattuali o per ragioni legate all’organizzazione del lavoro e dell’attività produttiva. In quest’ultimo caso si annoverano una riorganizzazione della struttura dell’attività per motivi economici o, ancor peggio, al fallimento dell’azienda stessa.