Tra gli effetti del coronavirus ci sono indubbiamente quelli sul lavoro. Molte aziende della zona rossa si sono organizzate con lo smart working ma restano più di uno i dubbi dei dipendenti in tutta Italia in merito a doveri e diritti per la propria tutela e per quella di colleghi e/o clienti o fornitori. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza in un quadro piuttosto confuso, posto che si tratta di un’emergenza unica nel suo genere per il nostro Paese e che quindi, per diversi aspetti, ci ha colto impreparati.

Sappiamo che nella zona rossa sono state prese misure eccezionali ma che cosa succede altrove? Un lavoratore può assentarsi per paura del contagio? E in questo caso deve prendere ferie o malattia? L’azienda può obbligare i dipendenti a prendere le ferie?

Di seguito i principi cardine fissati dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro che ha distinto le diverse casistiche:
  • obbligo di restare a casa: diritto alla retribuzione: i dipendenti che si trovano in una zona in cui è scattato un ordine della pubblica autorità hanno diritto ad essere retribuiti;
  • smart working volontario: in via eccezionale il decreto ha ammesso lo smart working senza previo accordo in Lombardia e Veneto. Ovviamente l’attività lavorativa deve essere tale da permettere il lavoro da casa;
  • quarantena: obbligatoria o volontaria. Differenze. Se il presidio sanitario impone la quarantena per il lavoratore con sintomi potenzialmente riconducibili al virus, questi, a meno che non abbia la possibilità di lavorare da remoto, risulterà assente dal lavoro. Il trattamento economico, previsto dal contratto collettivo e, quindi, variabile, è in genere riconducibile all’ipotesi di ricovero. Chi non si presenta in azienda per mero timore, senza rischio di contagio e/o sintomi, è assente ingiustificato e perde il diritto alla retribuzione (nei casi più gravi sono previste sanzioni disciplinari).

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