Una sentenza della Corte Costituzionale (n.228) segna una svolta storica nei controlli del Fisco sui prelievi dallo sportello bancomat effettuati da liberi professionisti.   I giudici infatti hanno escluso che i soldi prelevati, se non utilizzati per spese professionali documentate, costituiscano automaticamente finanziamenti del nero e ricavi non dichiarati. La presunzione di evasione fiscale era stata applicata, non senza polemiche, dal Fisc ai liberi professionisti così come alle aziendeo. L’Agenzia delle Entrate si è fatta forte finora su una serie di provvedimenti legislativi in materia di accertamento delle imposte sui redditi per gli imprenditori.

Ma nella sentenza la norma di legge che parla di “compensi” viene dichiarata incostituzionale per i liberi professionisti. Non è quindi onere del professionista produrre i documenti inerenti alle spese effettuate con tali contanti. Una prova considerata iniqua nella sua ratio anche perché, di fatto, spesso difficile se non impossibile. Alla Commissione tributaria del Lazio si era rivolto un contribuente: l’Ordinanza 27/29/2013 ha sollevato la questione di incostituzionalità. E sul punto è giunta la conferma della Corte Costituzionale con la sentenza 228/2014 che ha negato al Fisco la possibilità di estendere la presunzione applicata alle imprese anche ai titolari di reddito di lavoro autonomo. Nello specifico è stato dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del Dpr 600/1973, nella parte in cui ha riservato ai titolari di reddito di lavoro autonomo lo stesso trattamento applicato ai titolari di reddito d’impresa: “Anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata”. Impossibile, si legge nella sentenza, pretendere che un libero profes