I limiti per le transazioni di denaro valgono anche per chi deposita contanti in banca sul proprio conto personale? Ce lo hanno chiesto molti lettori, quindi con questo articolo speriamo di rispondere ai loro quesiti e di fare chiarezza.

Quando si accumula una grossa somma di denaro in contanti verosimilmente ci sarà l’esigenza, ad un certo punto, di depositarla in banca (a meno che non si voglia tenerla sotto il materasso come si faceva una volta, cosa oggi irrealistica e anche rischiosa).

Vendita oggetti usati e deposito contanti in banca: prove documentali, limiti e controlli

E’ una situazione in cui ci può trovare per motivi diversi. L’ipotesi più frequente è quella di chi ha venduto oggetti usati di un certo valore e ha accettato pagamenti in contanti dall’acquirente o, in caso di oggetti diversi, da più persone. Si concretizza quindi la necessità di depositare la cifra guadagnata in banca. Questo espone automaticamente il cliente ai controlli del Fisco o c’è un modo per evitarli? E nel caso in cui queste verifiche sul conto scattino spetta al correntista dimostrare la regolarità delle transazioni o all’ente di riscossione?

Nell’esempio appena fatto della vendita di oggetti di seconda mano, sappiamo che questo tipo di operazione non va dichiarata. Ma se si deposita in banca il ricavato della vendita in contanti si rischia qualcosa? Come si può giustificare da dove provengono i soldi per evitare il sospetto di evasione fiscale? La risposta viene fornita dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 5078/2017.

Deposito contanti in banca: limiti, documenti e controlli

Partiamo con il precisare che, a differenza di quanto accade per esempio per i pagamenti, non esiste un limite di denaro per il versamento in contanti in banca. Il correntista può astrattamente depositare qualsiasi somma senza incorrere in illecito anche se la cifra supera il tetto massimo per i pagamenti in contanti.

Il principio da tenere a mente è questo, ed è fondamentale per capire quando sussistono tetti ai trasferimenti di soldi in contanti e quando no: il deposito o prelievo da e sul conto non comporta passaggio di proprietà ovvero i soldi erano e restano del cliente correntista.

Ma attenzione perché questo non significa che depositi e prelievi siano esenti da controlli: quanto ai primi, l’Agenzia delle Entrate può chiedere da dove provengano i soldi. E qui viene “il bello” perché la sentenza in analisi ha spiegato che non bastano all’uopo testimoni o scritture private generiche che confermino la vendita di oggetti usati tra privati ad esempio ma è necessario che vi sia una data certa. Questo significa, in altre parole, che è necessaria un’attestazione del pubblico ufficiale che certifichi il momento esatto del trasferimento di proprietà con conseguente passaggio di denaro.
Quello che si evince dalla sentenza è che al contribuente è richiesto di prevedere in anticipo il rischio di controllo da parte del Fisco perché scritture private ex post non avranno effetto.

Come dare ad un documento una data certa valida come prova

Veniamo quindi ai metodi pratici per conferire una data certa ad un documento. Il più diffuso e facile è quello di spedirlo via raccomandata A/R con il plico ripiegato su se stesso, non in busta chiusa quindi (fa fede la data del timbro del postino in qualità di pubblico ufficiale).
In epoca digitale è ammessa anche la scrittura privata su computer con apposta la firma elettronica tramite PEC (posta elettronica certificata).
In conclusione, quindi, alla luce della sentenza richiamata, possiamo affermare che non ci sono limiti per il deposito dei contanti in banca. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate potrà chiedere anche dopo qualche anno di giustificare la provenienza del denaro per escludere che si tratti di importi in nero da evasione fiscale.

In questo caso il contribuente deve essere in grado di fornire documentazione con una data certa convalidata da pubblico ufficiale.