L’Agenzia delle entrate ha approvato il modello di domanda che i contribuenti possono presentare in via telematica per manifestare la volontà di chiudere le liti pendenti con il Fisco ossia con l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Decidere di chiudere in anticipo un contenzioso, potrebbe essere conveniente, sia per il contribuente sia per il Fisco. Tuttavia, bisogna vedere come sta andando il contenzioso e in quale grado di giudizio si trova il contraddittorio.

E’ chiaro che se il contribuente ha avuto la meglio nei primi due gradi di giudizio e ora si è arrivati in Cassazione, bisogna ben analizzare l’eventuale convenienza, se ce n’è, a chiudere la lite con il fisco.

Detto ciò, con l’approvazione del modello di domanda, la definizione agevolata di cui alla Legge n°197/2022, Legge di bilancio 2023, diventa pienamente operativa. La domanda dovrà essere presentata entro il prossimo 30 giugno 2023.

La definizione agevolata delle liti pendenti

I commi da 186 a 205 disciplinano la definizione agevolata delle liti pendenti con il Fisco.

Come da provvedimento con il quale è stato approvato il modello di domanda con le relative istruzioni, possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, in cui è parte l’Agenzia delle Entrate. Sono definibili le liti pendenti al 1° gennaio 2023 (data di entrata in vigore della legge di Bilancio 2023) in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio. L’Agenzia delle entrate è considerata parte del giudizio ossia della lite pendente laddove “evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta” (vedi circolare n°2/2023).

Di conseguenza la definizione agevolata non riguarda le liti nelle quali l’Agenzia delle entrate, “pur essendo titolare del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio: non sia stata destinataria dell’atto di impugnazione e non sia stata successivamente chiamata in giudizio né sia intervenuta volontariamente”.

Inoltre, non rientrano nella sanatoria, le liti per le quali, alla data di presentazione della domanda, è stata depositata sentenza della Corte di cassazione senza rinvio.

Quando la lite è considerata pendente?

A ogni modo, si considerano pendenti le liti:

  • il cui atto introduttivo del giudizio in primo grado sia stato notificato alla controparte entro il 1° gennaio di quest’anno e per le quali,
  • alla data di presentazione della domanda, il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.

In base alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate con la circolare n°2/2023:

possono essere definite non soltanto le controversie instaurate avverso atti di natura impositiva, quali gli avvisi di accertamento e atti di irrogazione delle sanzioni, ma anche quelle inerenti atti meramente riscossivi.

Resta ferma, in alternativa alla definizione prevista dai commi da 186 a 203, la definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti innanzi alla Corte di cassazione. Si veda l’articolo 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 (Riforma processo tributario).

Atti esclusi dalla definizione delle liti pendenti

La definizione agevolata non riguarda alcuni specifici atti.

In particolare, sono escluse:

  • le controversie in materia di dinieghi espressi o taciti di rimborso o di spettanza di agevolazioni e, comunque, quelle di valore indeterminabile;
  • quelle afferenti il recupero di crediti tributari sorti in uno Stato estero, in quanto trattasi di tributi amministrati da un altro Stato, rispetto ai quali l’Agenzia delle entrate, nonostante sia parte processuale, non è ente creditore.

Stessa cosa dicasi per le controversie, concernenti anche solo in parte le risorse proprie tradizionali dell’Unione europea. L’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione e quelle concernenti le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

Pronto il modello di domanda

Per aderire alla definizione agevolata, per ciascuna controversia occorre presentare, entro il 30 giugno 2023, un’apposita domanda ed effettuare il pagamento, sempre entro la stessa data, dei seguenti importi:

  • 90% del valore della controversia, per i ricorsi pendenti iscritti nel primo grado;
  • 40% del valore della controversia, in caso di soccombenza dell’Agenzia fiscale nella pronuncia di primo grado;
  • 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia fiscale nella pronuncia di secondo grado;
  • 5% del valore della controversia pendente innanzi alla Corte di cassazione e per la quale l’Agenzia fiscale risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio.

Se gli importi dovuti sono superiori a 1.000 euro, è possibile pagare anche a rate.

Massimo 20 rate trimestrali di pari importo, con decorrenza dal 1° aprile 2023 e da versare, rispettivamente, entro il 30 giugno 2023, il 30 settembre, il 20 dicembre e il 31 marzo di ciascun anno). Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali calcolati dalla data del versamento della prima rata.

Ritornando alla domanda, la stessa può essere presentata all’Agenzia delle Entrate: direttamente dal contribuente o tramite un soggetto incaricato. Serve una distinta domanda di definizione per ciascuna controversia tributaria autonoma (cioè relativa al singolo atto impugnato).

Nel comunicato stampa pubblicato ieri dall’Agenzia delle entrate è specificato che, in via provvisoria ossia in attesa dell’attivazione di un servizio specifico per la compilazione e la trasmissione telematica, è possibile presentare la domanda inviandola all’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) dell’Ufficio che è parte nel giudizio.