Quattro miliardi e mezzo. È la cifra fissata per un obiettivo che, solo a sentirlo, fa accapponare la pelle dei lavoratori: salvare gli stipendi. Con una pillola addolcita si parlerebbe di aumentare la busta paga. Con una visione più razionale delle cose, si intende un adeguamento delle retribuzioni per fare in modo che gli italiani, con la crisi ancora in corso, non si ritrovino sommersi dai pagamenti obbligatori. Nel corso dell’anno se ne è parlato spesso: la riforma fiscale aveva introdotto uno sgravio contributivo pari allo 0,8%, pensato per ammortizzare l’annullamento del trattamento integrativo pari a 100 euro (l’ex Bonus Renzi rafforzato).

In seguito, il Governo ha introdotto il cosiddetto Bonus 200 euro, anche questo disposto come aumento in busta paga. E anche il decreto Aiuti bis ha messo a disposizione alcune misure volte a rafforzare le disponibilità economiche degli italiani, con lo sgravio contributivo salito al 2% e taglio ulteriore del cuneo fiscale. Provvedimenti che, visti dall’alto, assumono un’importanza maggiore rispetto a quanto sia percepibile. Perché in fondo, il problema non è tanto l’aiuto diretto (o indiretto) quanto gli stipendi stessi.

Buste paga ridotte?

La campagna elettorale è già cominciata da tempo, forse addirittura da prima che il Governo Draghi desse forfait. E i partiti, a più riprese, tornare a tirar fuori l’argomento principe. Ossia quello dell’aumento degli stipendi, riproponendo un nuovo taglio del cuneo fiscale e l’incremento delle retribuzioni. Promesse che, però, si scontrano con la necessità di reperire le risorse sufficienti al ripristino di un tessuto occupazionale che possa realmente garantire un’equità ai lavoratori. Basti pensare che per la conferma dello sgravio contributivo al 2% serviranno 4,5 miliardi di euro. Misura che, peraltro, sarebbe necessaria nel momento in cui il prossimo Governo dovesse realmente perseguire l’obiettivo di azzerare, o quantomeno ridurre, le tasse sul lavoro. Gli sgravi in atto, ossia quello dello 0,8% previsto dalla Legge di Bilancio 2022 e quello aggiuntivo dell’1,2%, sono infatti previsti solo fino al 31 dicembre 2022.

Giocoforza, la prima misura del nuovo Governo in carica riguarderà proprio la conferma dello sgravio o la disposizione di nuove percentuali di ammortizzamento delle tasse sul lavoro.

Risorse necessarie

Una parola, se non altro per le risorse che servirebbero. Stando così le cose, il rischio che a partire dall’1 gennaio 2023 le buste paga ricomincino a scendere è decisamente elevato. Il che si tradurrebbe in una beffa atroce per tutti quei lavoratori con reddito inferiore ai 35 mila euro, già sgambettati da una riforma fiscale che ha abolito il trattamento integrativo per i redditi superiori ai 15 mila euro. I quali, a conti fatti, rischiano di vedere le proprie buste paga anche più ridotte rispetto al periodo delle vecchie aliquote Irpef. La strada ideale, per non dire l’unica possibile, risulta la conferma dello sgravio contributivo del 2% e il mantenimento dell’aliquota contributiva al 7,19%. Provvedimento che necessiterebbe, da solo, di quasi 5 miliardi di euro. E, del resto, non garantirebbe nemmeno di riuscire a tamponare realmente l’inflazione crescente. L’inverno rischia di essere gelido.